Per la tutela reale conti sulla sede italiana
I dipendenti complessivi non entrano nel calcolo ai fini del regime applicabile ai licenziamenti ingiustificati L’autonoma rilevanza della struttura incide anche sulla normativa giuslavoristica
Per le sedi secondarie italiane di società estere, il computo dei dipendenti ai fini della individuazione della tutela applicabile al licenziamento ingiustificato va effettuato solo con riguardo a quelli occupati in Italia, e non già considerando il numero complessivo dei dipendenti della società estera. Ciò anche se, dal punto di vista societario, la sede secondaria, o branch, non ha una personalità giuridica autonoma rispetto alla società costituita all'estero.
Questa la conclusione definitiva a cui giunge la Cassazione in una recente sentenza (n. 19557 del 30 settembre 2016), che ripercorre (e risolve) il contrasto determinatosi tra due opposte e risalenti decisioni della stessa suprema corte, del 1978 e del 1987, collocate peraltro in un contesto normativo giu- slavoristico e societario in larga misura diverso da quello attuale.
Il caso esaminato dalla Corte riguardava la dipendente di una società olandese, occupata in Italia e licenziata per giustificato motivo oggettivo. La dipendente, impugnando il licenziamento, aveva richiesto l'applicazione della tutela prevista dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sostenendo che, ai fini della sussistenza del requisito dimensiona- le richiesto dalla norma, dovessero computarsi non solo i dipendenti occupati in Italia (nel caso di specie solamente lei), ma anche quelli occupati in Olanda (ben più dei 60 richiesti per l'applicazione della tutela invocata).
La sentenza della Cassazione più risalente (n. 5320/78) era favorevole alla tesi della lavoratrice: affermava infatti che, essendo la sede secondaria italiana di una società estera priva di personalità giuridica, rileva anche ai fini del computo dei dipendenti la società nel suo complesso. Quasi dieci anni dopo, con la sentenza n. 1324 del 1987, la Cassazione tornava a pronunciarsi sul tema, affermando che «un mediato esame della questione deve condurla a dissentire dall'opinione espressa dall'unica decisione emessa in materia dai giudici di legittimità nel 1978, la n. 5320». La Corte rilevava che il nostro ordinamento sottopone alla legge italiana, sia pure a determinati fini (fra cui l'esercizio dell'impresa e, con esso, la disciplina del rapporto di lavoro) solo la sede secondaria costituita sul territorio nazionale. Inoltre sottolineava l'assurdità delle conseguenze potenzialmente derivanti da un calcolo del requisito dimensionale esteso all'intero organico della società estera, ad esempio, in materia di assunzioni obbligatorie di invalidi. Queste ultime infatti, ove parametrate sul numero complessivo degli occupati anche all'estero, determinerebbero a carico della sede secondaria italiana l'obbligo di assumere pressoché solo disabili.
Nella sentenza del 30 settembre la Cassazione dichiara di «dover dare continuità a tale ultima giurisprudenza», aggiornando le pro- prie argomentazioni in ragione del mutato contesto normativo. Innanzitutto la Corte rileva che dalla normativa oggi vigente (articolo 2508 del Codice civile) si ricava che la sede secondaria in Italia di società estera ha, sotto vari profili, una propria autonoma rilevanza, come se da sola formasse una società costituita ed operante nel nostro Paese. La norma assoggetta alla legge italiana, per molti e significativi aspetti (ad esempio le disposizioni concernenti l'esercizio dell'impresa e il regime di pubblicità a tutela dei terzi), le (sole) sedi secondarie delle società estere. Per ragioni di simmetria, pertanto, anche i presupposti applicativi della normativa nazionale sui licenziamenti devono sussistere ed essere verificati solo con riferimento alle situazioni giuridiche realizzatesi nel nostro Paese e non all'estero. Del resto, sottolinea ancora la Corte, lo stesso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori evoca parametri necessariamente territoriali e nazionali non solo quando fa riferimento all'ambito comunale ma anche quando richiama, al fine di disciplinare il computo dei lavoratori part-time, la contrattazione collettiva di settore.
La decisione della Corte conserva una sua attualità anche per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, assoggettati alla nuova disciplina dei licenziamenti introdotta dal Jobs act. Ad essi, qualora operino in una sede secondaria di società estera fino a 15 dipendenti in Italia, si applicherà il regime di tutela previsto per le piccole imprese, anche qualora la società estera nel suo complesso sia di ben maggiori dimensioni.
IL PRINCIPIO La decisione della Cassazione valida anche dopo la riforma del Jobs act con le «garanzie» per le imprese fino a 15 addetti