Per i beni confiscati urgente il tagliando
Centocinquantamila beni amministrati - di cui 70mila immobili e oltre 10mila aziende - in aggiunta a liquidità per tre miliardi e mezzo di euro. La radiografia dei beni sequestrati e confiscati alle mafie descrive un sistema dalle proporzioni vastissime, ma anche con difficoltà di gestione e la necessità di un intervento di efficientamento. Lo screening svolto dal Consiglio nazionale dei commercialisti e degli esperti contabili - riuniti in questi giorni a Roma al Grand Hotel Gianicolo e al Teatro Ghione, non a caso beni confiscati alla criminalità - spiega che le aziende sotto gestione giudiziale sono per il 48% microimprese - meno di 10 dipendenti - mentre il 39% ha fino a 50 dipendenti e solo l’8% arriva a 250 dipendenti. In questo contesto importante è il check up delle risorse umane (“legalizzare” i rapporti di lavoro) con i “costi della legalità” che non trovano un adeguato scivolo normativo. L’enorme patrimonio immobiliare, poi, sconta l’impasse gestionale con la difficoltà di messa a reddito. Non bastasse, i commercialisti interpellati rimarcano grandi difficoltà nei rapporti con l’amministrazione pubblica, in particolare con le Entrate e con Equitalia Giustizia, e un irrigidimento nei rapporti con gli amministratori giudiziari. Dal canto suo l’Agenzia dei bei confiscati, secondo i commercialisti, non riesce a far fronte tempestivamente alle aumentate competenze, dilatando fino a sei mesi le risposte ai coadiutori - suggerendo pertanto un aumento delle risorse umane dell’Agenzia. Quanto ai compensi degli amministratori dei beni, manca ancora il parametro temporale e non è univoco il criterio di commisurazione (se sul valore del complesso aziendale o sul patrimonio netto rettificato).