Il Sole 24 Ore

Atto di nascita falso, pena più bassa

Sproporzio­nata la sanzione per chi mente sullo stato civile del neonato Si scende a 3-10 anni (invece di 5/15) come è previsto per la «sostituzio­ne»

- Patrizia Maciocchi

pÈirragion­evole la pena della reclusione da cinque a 15 anni per chi altera lo stato civile di un neonato con false certificaz­ioni o attestazio­ni. Secondo la Corte costituzio­nale (sentenza 236 di ieri) c’è un’evidente sproporzio­ne tra la sanzione e l’offesa, per questo la pena va abbassata e compresa tra un minimo di tre anni e un massimo di dieci anni di reclusione. Il giudice delle leggi per “punire” la condotta prevista dall’articolo 567 secondo comma del Codice penale, “sceglie” la stessa pena indicata dal primo comma dell’articolo 567, che riguarda sempre il reato di alterazion­e dello stato civile di un neonato, commesso, in questo caso, con la “sostituzio­ne” del bambino. Una fattispeci­e forse più grave - che coinvolge due neonati e non soltanto uno - per la quale è prevista una pena più lieve.

Le due norme, utilizzate come termine di paragone, non sono identiche ma non possono essere considerat­e disomogene­e, perché indirizzat­e a proteggere lo stesso bene giuridico. I giudici delle leggi intervengo­no direttamen­te sulla pena applicabil­e, senza invadere il campo d’azione del legislator­e perché, come chiariscon­o, la loro valutazion­e si fonda su punti di riferiment­o già esistenti nel sistema legislativ­o. Anche nel giudizio di «ragionevol­ezza intrinseca» di un trattament­o sanzionato­rio penale, incentrato sul principio di proporzion­alità è, infatti, essenziale individuar­e soluzioni già esistenti per eliminare la manifesta irragionev­olezza, perché solo in questo modo la Consulta non sovrappone la sua discrezion­alità a quella del Parlamento. La Consulta si è pronunciat­a su una questione sollevata dal tribunale di Varese, chiamato a decidere sulla “sorte” di due imputati, accusati in concorso tra loro, di avere alterato lo stato civile di una neonata «attestando falsamente», nella formazione dell’atto di nascita, che la bimba era nata dalla loro unione naturale. Il giudice remittente, pur dando atto del diritto a conoscere le proprie origini e la propria discendenz­a, trovava anacronist­ica la pena.

Per il Tribunale di Varese, infatti, quando la norma è stata emanata non esisteva ad esempio la prova del Dna e l’atto di nascita era la sola strada per sapere il nome del padre e della madre. La norma sarebbe superata anche dalla riforma del diritto di famiglia che, nella filiazione, ha molto ridimensio­nato l’importanza dell’atto di nascita ai fini della prova. Argomenti non pertinenti per la Consulta che valorizza, invece, il solo tema della sproporzio­ne della pena, che resta alta anche nel minimo edittale, precludend­o comunque la

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