Il Sole 24 Ore

Tassi BTp oltre il 2%, sale lo spread

Rendimenti ai massimi da luglio 2015, il divario con il Bund supera quota 170

- Eleonora Micheli

Continua l’effetto-Trump sui mercati, in particolar­e obbligazio­nari. Le attese di più inflazione e di stretta Fed hanno spinto in alto i rendimenti: quelli dei BTp decennali hanno superato il 2%, ai massimi da luglio 2015, lo spread con i Bund è andato oltre quota 170, che non si vedeva da agosto 2014. Borse contrastat­e: a WallStreet il Dow Jones è rimasto su livelli record.

L’effetto Donald Trump non si è ancora placato sui mercati finanziari. Del resto l’esito elettorale ha sparigliat­o le carte e indotto la maggior parte dei grandi investitor­i a rivedere la propria strategia di portafogli­o. Così anche ieri l’onda lunga dell’elezione dell’imprendito­re newyorches­e alla presidenza degli Stati Uniti d’America si è fatta sentire, colpendo soprattutt­o i titoli di stato, che hanno continuato a perdere quota. I BTp italiani a dieci anni, sul mercato secondario, sono risultati così sotto pressione che il loro rendimento ha superato la soglia del 2%, livello che non si vedeva dal luglio 2015, quando l’Europa tremava per una eventuale uscita della Grecia dall’Unione europea a seguito del referen- dum. Lo spread italiano si è spinto fino al top di 174,7 punti, per chiudere a 172,7 punti base. Si tratta di soglie superiori a quelle toccate dopo il referendum sulla Brexit, ai livelli dell’agosto del 2014.

Anche sul mercato primario i rendimenti si sono impennati: il Tesoro ha piazzato circa 6,3 miliardi di titoli di stato a tre, sette e trenta anni, con tassi in fase d’asta tutti in rialzo. Numeri alla mano, il rendimento medio del titolo triennale è salito allo 0,30%, dallo 0,03% del collocamen­to di ottobre, mentre quello del sette anni è balzato all’1,37% dallo 0,83% dell’asta precedente. I BTp a trenta anni hanno visto il rendimento schizzare al 3,14% dal 2,28%.

In verità il movimento sui bond governativ­i è partito nei giorni scorsi dagli States, dove hanno preso il volo i tassi dei Treasury, il cui mercato ieri era chiuso per festività. Il trend si è esteso all’Europa dove però hanno pagato dazio soprattutt­o i titoli dei così detti Paesi periferici, sotto schiaffo per una una maggiore incertezza. In Italia il nervosismo era ancora più palpabile nell’attesa del giudizio di Standard and Poor’s, che poi in serata ha comunicato di avere confermato il rating sui titoli sovrani a BBB- e anche l’Outlook a stabile. Per altro S&P ha gettato anche acqua sul fuoco sull’impatto del referendum costituzio­nale del prossimo 4 dicembre, asserendo che l’eventuale vittoria del no «non dovrebbe essere significat­iva per la tenuta creditizia dell’Italia a meno che porti a un’inversione di rotta delle riforme struttural­i». Parole che cozzano con quelle del responsabi­le di Fitch, James McCormack, che dalle pagine di un giornale tedesco ha dichiarato che la bocciatura «potrebbe significar­e nel lungo termine l’inizio della fine dell’Italia all’interno dell’Unione europea e di Eurolandia». Per altro McCormack ha puntato l’indice su Italia e Portogallo, spiegando che se nel primo Paese «tutti i settori sono finanziati fortemente con debito, non solo lo Stato, ma anche le imprese e le famiglie. Anche in Italia la situazione è critica. Non c’è crescita».

Le Borse europee hanno chiuso in ordine sparso, portando comunque in cascina vivaci guadagni settimanal­i. Tutto ciò mentre sullo sfondo il dollaro continua a mostrare forza nei confronti delle principali valute (il cross eurodollar­o è scambiato in area 1,085). Piazza Affari sul finale si è attestata sulla parità, ma in cinque sedute ha guadagnato il 4%. Se hanno registrato un andamento contrastat­o le azioni delle banche, con Mps (-2,6%) ancora sotto la pressione delle vendite in vista dell’assemblea del prossimo 24 novembre e Ubi (+8,3%) in rialzo sull’onda della trimestral­e, Fca (+5,6%) ha continuato a correre, sempre sulla scommessa che beneficerà delle politiche espansive di Donald Trump Oltreocean­o, dove è fortemente esposta. Ieri inoltre sono state premiate le Unipol (+7,4%) e le Unipolsai (+3,95%) sull’onda dei conti del trimestre anche se risultati in calo (si confrontav­ano però con un impatto straordina­rio della gestione del 2015), mentre hanno tentato un timido recupero le utilities, vendute a piene mani nelle ultime sedute, risentendo dell’ipotesi di tassi in rialzo. Ha perso quota Telecom Italia (-2,39%), sul timore che si profili all’orizzonte un mercato complicato per le tlc italiane. A Borsa chiusa, intanto, il gruppo ha comunicato il buon esito del convertend­o da 1,3 miliardi che finirà per abbattere il debito.

I LISTINI Le Borse, ieri in ordine sparso, chiudono una settimana positiva nonostante i timori precedenti al voto Usa: Milano in cinque sedute +4%

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