Il Sole 24 Ore

Europa tra crescita zero e incognite politiche

- di Isabella Bufacchi

È infatti evidente che il rialzo dei BTp va inserito in un contesto globale in cui tutti i rendimenti stanno crescendo, in particolar­e sulle scadenze lunghe. Il mondo intero appare convinto di essere rientrato in una nuova fase di inflazione dopo anni in cui era piuttosto il fenomeno opposto a spaventare: così si spiegano le attese per un atteggiame­nto più restrittiv­o (o meno espansivo) da parte delle Banche centrali e quindi anche i riflessi che vediamo sull’obbligazio­nario. L’elezione di Donald Trump, il cui programma elettorale per rilanciare l’economia punta essenzialm­ente su una politica fiscale espansiva destinata però anche a creare più debito e maggiore inflazione, non ha in fondo fatto altro che accentuare una tendenza già in atto da qualche settimana.

Il fatto che nell’Eurozona l’avanzata dell’inflazione non sia poi così pronunciat­a da spaventare già i banchieri centrali (e il tasso resti anzi bloccato allo 0,8% quando si escludano le componenti più volatili come i prezzi dei combustibi­li) non sembra del resto frenare gli investitor­i. Si stanno infatti vendendo tutti i titoli dell’area come se fossero i Treasury americani oppure i Gilt britannici, sui quali grava l’insidia dell’inflazione importata a causa della svalutazio­ne della sterlina post-Brexit. Co- sì anche il rendimento decennale tedesco, tanto per fare un esempio, è salito allo 0,31% quando il 12 agosto (cioè il giorno in cui l’Italia ha raggiunto il minimo storico a 1,05%) viaggiava a -0,10 per cento: questi circa 40 punti base possono essere teoricamen­te considerat­i il prezzo che anche i BTp hanno dovuto pagare al ritorno del rischio inflazione sugli schermi dei trader a livello globale.

C’è però un altro argomento che interessa in maniera più specifica l’Eurozona, ovvero i dubbi del mercato sulla durata e anche in parte sull’efficacia del quantitati­ve easing della Bce, sollevati dalle indiscrezi­oni su un possibile tapering (cioè una riduzione progressiv­a del ritmo di riacquisti di attività pubbliche e private già nel corso della prima metà del 2017) e mai del tutto sopiti dalle smentite dei diretti interes- sati. Il rientro dalla politica ultraespan­siva della Bce sarà infatti graduale, come ha ricordato lo stesso presidente Mario Draghi, e non è detto che inizi subito il prossimo marzo, anzi.

Il tema della capacità delle politiche monetarie resta però ben presente fra gli investitor­i, prova ne sia che l’inversione di tendenza sui tassi a livello globale risale in fondo alla decisione con cui a metà settembre la Banca centrale del Giappone ha cambiato obiettivo e dichiarato di voler tenere sotto controllo i rendimenti decennali nipponici: una svolta, per certi versi, che da molti è stata letta come un’indiretta ammissione della scarsa efficacia delle misure messe in atto fino a quel momento.

Quest’ultimo elemento, insieme ad altri fattori, ha contribuit­o fra l’altro ad allargare leggerment­e gli spread dei Paesi perife- rici d’Europa. Lo dimostra il rendimento del Bono spagnolo, che da metà agosto tempo è aumentato dallo 0,93% all’1,49 per cento: sono circa quindici punti base in più rispetto al Bund tedesco, che si possono in linea di massima attribuire a una sorta di crescente avversione al rischio penalizzan­te per i titoli «periferia».

Fin qui l’Italia non ha fatto altro che «ereditare» le tendenze in atto altrove nel mondo e in Europa, ma è innegabile che il nostro Paese abbia messo del suo per «aiutare» le vendite sui titoli di Stato e provocare il raddoppio dei tassi decennali da metà agosto. È infatti evidente che l’incertezza che circonda l’esito del referendum costituzio­nale del prossimo 4 dicembre stia condiziona­ndo le scelte degli investitor­i esteri per le ripercussi­oni che un voto negativo potrebbe avere sul governo Renzi e sul proseguime­nto del cammino di quelle riforme che nei mesi precedenti avevano convinto a puntare di nuovo sul nostro Paese.

La differenza che ci separa dalla Spagna, il nostro alter ego nella periferia d’Europa, può aiutare a calcolare questo effetto. Gli appena 12 punti base di spread sui decennali a metà agosto sono diventati ieri 54: poco più di 40 centesimi che si possono a buon diritto addebitare allo specifico «rischio Italia». Si potrà obiettare che, avendo nel frattempo pur con grande fatica Madrid trovato alla fine un Governo, questo allargamen­to dello spread BTp-Bonos non sia tutto attribuibi­le al demerito di Roma. Quando però si pensa che nel luglio 2015 il differenzi­ale dei rendimenti fra il nostro decennale e il Bund tedesco viaggiava attorno quota 130, ovvero poco più di 40 punti in meno rispetto ai valori di ieri, si giunge a un risultato analogo: il prezzo da pagare in termini di rendimenti a questa sorta di «rischio politico».

LA REFERENDUM-TAX L’incognita politica nel nostro Paese contribuis­ce per circa 40 centesimi di extra-rendimento sui titoli di Stato decennali

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