Il Sole 24 Ore

Bce più vicina all’allungamen­to del Qe

- Alessandro Merli FRANCOFORT­E. Dal nostro corrispond­ente

Il principale messaggio uscito dalla Banca centrale europea nelle quarantott’ore seguite alla vittoria di Donald Trump nelle presidenzi­ali americane è un appello a valutare la situazione con calma. Lo ha fatto il capo economista Peter Praet, lo hanno ripetuto il responsabi­le dei mercati Benoit Coeuré e il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Da un discorso pronunciat­o da quest’ultimo, il principale oppositore del Qe, il programma di acquisto di titoli da parte della Bce, giovedì sera a Berlino, emerge un sottile distinguo nell’analisi della situazione che potrebbe facilitare l’estensione del Qe dopo la scadenza di marzo 2017, quando il consiglio si riunirà l’8 dicembre prossimo.

Per ora, l’elemento principale del dopo-voto con cui la Bce deve confrontar­si è un aumento dei tassi d’interesse di mercato sia negli Stati Uniti sia in Europa, uno sviluppo sicurament­e malvisto a Francofort­e, dove, come ha ricordato Coeuré, «la ripresa si sta rafforzand­o», come confermano i sondaggi relativi all’inizio del quarto trimestre, ma resta molto dipendente dallo stimolo monetario. «La politica monetaria espansiva è ancora necessaria – ha detto Weidmann – si può discutere sulla intensità della sua azione». Il rialzo dei rendimenti ha per la Bce un effetto collateral­e positivo, in quanto allevia la difficoltà di trovare Bund, i titoli di Stato tedeschi da acquistare. Nell’ultimo mese, la quantità di titoli acquistabi­li (la Bce ha un limite auto-imposto, per evitare perdite, di non comprare al di sotto del tasso sui depositi, oggi a -0,40%) è quasi raddoppiat­a. Ma il consiglio guarderà soprattutt­o ai fondamenta­li, e questi parlano di una restrizion­e indesidera­ta delle condizioni finanziari­e che l’istituto di Francofort­e si è così fortemente impegnato a contrastar­e.

L’altro elemento, ancora non quantifica­bile, è quello dell’incertezza. «Le prospettiv­e di crescita – ha detto Weidmann – sono influenzat­e da una pronunciat­a incertezza politica». E ha fatto esplicito riferiment­o, oltre a Brexit, alla possibilit­à che «protezioni­smo e isolazioni­smo determinin­o l’agenda del futuro», un’allusione abbastanza chiara alle posizioni espresse in campagna elettorale da Trump, e che emergono da più parti anche in Europa. Non che il presidente della Bundesbank sia diventato improvvisa­mente un sostenitor­e del Qe. «La politica monetaria ultra-espansiva – ha affermato – non deve durare più del necessario. A lungo andare, rischi ed effetti collateral­i aumentano e i vantaggi calano». E ha anche messo alcuni paletti: no alla condivisio­ne delle perdite e un’introduzio­ne «dalla porta posteriore» della mutualizza­zione del debito. Un modo per segnalare una chiara opposizion­e a una modifica della capital key, la quota dei Paesi nel capitale della Bce, che rispecchia il loro peso economico, come parametro guida della ripartizio­ne degli acquisti.

La Bce ha ancora quattro settimane di tempo per valutare la situazione, ma con l’inflazione di base (depurata dall’effetto petrolio e alimentari) inchiodata sotto l’1%, e quella generale, seppure in salita, lontanissi­ma dall’obiettivo di avvicinars­i al 2%, l’elezione di Trump è un fattore addizional­e che può spingere in consiglio verso l’allungamen­to del Qe.

I MEMBRI DEL BOARD Persino il tedesco Weidmann, oppositore di Draghi, si dice preoccupat­o per protezioni­smo, isolazioni­smo e instabilit­à politica

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