Bce più vicina all’allungamento del Qe
Il principale messaggio uscito dalla Banca centrale europea nelle quarantott’ore seguite alla vittoria di Donald Trump nelle presidenziali americane è un appello a valutare la situazione con calma. Lo ha fatto il capo economista Peter Praet, lo hanno ripetuto il responsabile dei mercati Benoit Coeuré e il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Da un discorso pronunciato da quest’ultimo, il principale oppositore del Qe, il programma di acquisto di titoli da parte della Bce, giovedì sera a Berlino, emerge un sottile distinguo nell’analisi della situazione che potrebbe facilitare l’estensione del Qe dopo la scadenza di marzo 2017, quando il consiglio si riunirà l’8 dicembre prossimo.
Per ora, l’elemento principale del dopo-voto con cui la Bce deve confrontarsi è un aumento dei tassi d’interesse di mercato sia negli Stati Uniti sia in Europa, uno sviluppo sicuramente malvisto a Francoforte, dove, come ha ricordato Coeuré, «la ripresa si sta rafforzando», come confermano i sondaggi relativi all’inizio del quarto trimestre, ma resta molto dipendente dallo stimolo monetario. «La politica monetaria espansiva è ancora necessaria – ha detto Weidmann – si può discutere sulla intensità della sua azione». Il rialzo dei rendimenti ha per la Bce un effetto collaterale positivo, in quanto allevia la difficoltà di trovare Bund, i titoli di Stato tedeschi da acquistare. Nell’ultimo mese, la quantità di titoli acquistabili (la Bce ha un limite auto-imposto, per evitare perdite, di non comprare al di sotto del tasso sui depositi, oggi a -0,40%) è quasi raddoppiata. Ma il consiglio guarderà soprattutto ai fondamentali, e questi parlano di una restrizione indesiderata delle condizioni finanziarie che l’istituto di Francoforte si è così fortemente impegnato a contrastare.
L’altro elemento, ancora non quantificabile, è quello dell’incertezza. «Le prospettive di crescita – ha detto Weidmann – sono influenzate da una pronunciata incertezza politica». E ha fatto esplicito riferimento, oltre a Brexit, alla possibilità che «protezionismo e isolazionismo determinino l’agenda del futuro», un’allusione abbastanza chiara alle posizioni espresse in campagna elettorale da Trump, e che emergono da più parti anche in Europa. Non che il presidente della Bundesbank sia diventato improvvisamente un sostenitore del Qe. «La politica monetaria ultra-espansiva – ha affermato – non deve durare più del necessario. A lungo andare, rischi ed effetti collaterali aumentano e i vantaggi calano». E ha anche messo alcuni paletti: no alla condivisione delle perdite e un’introduzione «dalla porta posteriore» della mutualizzazione del debito. Un modo per segnalare una chiara opposizione a una modifica della capital key, la quota dei Paesi nel capitale della Bce, che rispecchia il loro peso economico, come parametro guida della ripartizione degli acquisti.
La Bce ha ancora quattro settimane di tempo per valutare la situazione, ma con l’inflazione di base (depurata dall’effetto petrolio e alimentari) inchiodata sotto l’1%, e quella generale, seppure in salita, lontanissima dall’obiettivo di avvicinarsi al 2%, l’elezione di Trump è un fattore addizionale che può spingere in consiglio verso l’allungamento del Qe.
I MEMBRI DEL BOARD Persino il tedesco Weidmann, oppositore di Draghi, si dice preoccupato per protezionismo, isolazionismo e instabilità politica