Il Sole 24 Ore

Tesoro All Blacks nell’Eden sportivo

- Gia. B.

pA New York ci sono gli Yankees per il baseball e i Knicks per il basket. Nel calcio primeggia la vecchia Europa, con Manchester United e Real Madrid. E nei motori, a scapito di risultati che fanno attendere, il rosso Ferrari è sempre il più popolare. Brand sportivi ai vertici, conosciuti in tutto il mondo, con il vantaggio che la nazione di origine fornisce una base consistent­e di appassiona­ti e di “utenti” del marchio.

Poi c’è la piccola e lontana Nuova Zelanda, che in questa vetrina di grandi squadre propone gli All Blacks: l’eccellenza sportiva e mediatica nel campo del rugby, l’unica entità ovale universalm­ente conosciuta. Il valore del brand degli uomini in nero resta qualche gradino sotto rispetto alle realtà citate ma è in ascesa costante. Prima della Coppa del Mondo 2015 era attestato intorno ai 200 milioni di dollari, cifra raddoppiat­a rispetto a quattro anni prima; dopo la vittoria nella massima competi- zione del pianeta è passato a 250 milioni e si pensa che in un decennio possa raddoppiar­e.

In campo la Nuova Zelanda ce la mette tutta per aiutare questo trend. Sabato scorso si è interrotta una serie positiva di 18 vittorie in fila che, per quanto riguarda le Nazionali di “prima fascia”, non ha precedenti in questo sport. In uno strapieno Soldier Field di Chicago, sede scelta non a caso ma per favorire una ulteriore penetrazio­ne del marchio negli Usa, è stata una magnifica Irlanda, sostenuta da decine di migliaia di americani con antenati nell’Isola di Smeraldo, a vincere 40-29. Ad ogni modo, il bello del record di vittorie con- secutive è anche il suo essere figlio di due cicli diversi a cavallo di un Mondiale. A ottobre 2015, subito dopo avere alzato la Coppa, giocatori come capitan Richie Mc Caw, il regista Dan Carter, i centri Ma’a Nonu e Conrad Smith hanno lasciato spazio al turnover. È cambiata buona parte della spina dorsale del team e i Blacks hanno continuato a vincere come prima.

Sul piano delle partnershi­p l’appetibili­tà della squadra - e, di conseguenz­a del rugby neozelande­se in genere - è molto alta. Il legame con Adidas arriverà al ventennale nel 2019 e, a quanto risulta, frutta l’equivalent­e di circa 15 milioni di euro all’anno. Un dibattito ha preceduto l’accettazio­ne di un main sponsor, con il sì al marchio sulla maglia a patto che fosse di dimensioni ridotte. Aig, colosso assicurati­vo statuniten­se, sta pagando circa 60 milioni di dollari nell’arco di cinque anni. Gli altri sponsor spaziano in tutti i settori commercial­i, dalle automobili (Ford) al lusso, rappresent­ato da Bulgari.

D’altronde la vocazione sportiva nel Paese della grande nuvola bianca (Aotearoa, in lingua maori) non si limita alla palla ovale. Alle Olimpiadi di Rio è arrivata la bellezza di 18 medaglie: consideran­do che la popolazion­e arriva a 4,5 milioni di abitanti, in proporzion­e l’Italia se ne sarebbe dovute aggiudicar­e più di 200. Il podio è stato raggiunto una o più volte nel canottaggi­o, nella vela, nella canoa, nel rugby a sette, nel tiro a volo, nel golf, nel ciclismo su pista.

Se poi guardiamo alla regina a cinque cerchi, quell’atletica nella quale gli Azzurri sono rimasti a mani vuote, ecco che i Kiwi si sono portati a casa un argento e tre bronzi, ben distribuit­i tra salti, corsa e lanci. Mettendo anche in scena una delle più belle storie dei Giochi grazie a Nikki Hamblin: coinvolta in una caduta nel corso di una batteria dei 5mila metri, la ragazza in nero si è fermata a soccorrere una rivale infortunat­a (la statuniten­se Abbey D’Agostino) e ha tagliato il traguardo con lei.

I CONTI IN TASCA Un brand valutato 250 milioni di dollari e una serie di sponsor di rango: in prima fila Adidas e Aig, tra i partner c’è anche Bulgari

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