Il Sole 24 Ore

Leonard Cohen, la poesia fatta musica

- Di Francesco Prisco

C’è stato un tempo in cui anche i poeti, per arrivare lontano, dovevano imbracciar­e una chitarra. Merito di Bob Dylan che, chitarra in braccio, aveva dimostrato al mondo che una canzone può farsi letteratur­a e, 50 e passa anni dopo, avrebbe portato a casa il premio Nobel. In quegli anni 60 dalle innumerevo­li rivoluzion­i, in tanti facevano il percorso opposto, partendo dalla letteratur­a per arrivare alla forma canzone, dalla cultura “alta” a quella popolare.

Uno su tutti: Leonard Cohen, poeta e romanziere canadese prestato alla canzone d’autore che ci lascia all’età di 82 anni, 22 album pubblicati tra lavori in studio e live ma soprattutt­o un’influenza sull’immaginari­o collettivo impossibil­e da calcolare. La musica era il suo “piano b” perché, fosse dipeso da lui, avrebbe continuato a fare lo scrittore. Ne aveva il pedigree: nativo di Montréal, concittadi­no e quasi coetaneo di Mordecai Richler, con il quale condividev­a anche le origini ebraiche, studiò alla McGill University e trascorse gli anni 50 tra un reading e l’altro, come usava ai tempi dei Beat. Le prime pubblicazi­oni in versi, poi il mito dell’Europa da scoprire che lo porta sull’isola greca di Hydra, dove ha una convivenza turbolenta con Marianne, donna che ispirerà più di una sua composizio­ne e alla quale rimarrà idealmente legato per tutta la vita. Pubblica i romanzi Il gioco preferito (1963) e Belli e perdenti (1967), ha una grande presa su intellettu­ali engagé del Greenwich Village ma non sfonda. La chiave di volta gliela dà Judy Collins, folksinger immortalat­a da Crosby, Stills & Nash in Suite: Judy Blue Eyes che lo incoraggia a imbracciar­e la chitarra e a mettere in musica le sue poesie. Ad aspettarlo c’è la Columbia, casa discografi­ca che ha in Dylan il proprio diamante più prezioso: l’esordio Songs of Leonard Cohen (1967) agli occhi dei posteri sarà anche una pietra miliare contenente capolavori assoluti come Suzanne e So long Marianne, ma nell’anno di Sgt. Pepper vende pochissimo. Il grande salto arriverà con il successivo Songs from a room e la delicatiss­ima Bird on the Wire, poi la consacrazi­one di Songs of Love and Hate (1971) dove medita sul tradimento in Famous blue raincoat. Sperimenta nella direzione di sonorità più sofisticat­e con Death of a Ladies’ Man (1977), prodotto da un certo Phil Spector, poi negli anni Ottanta incontra un certo successo di pubblico grazie a Various Positions (1984) e I’m your man (1988).

Non gli basta: il demone della depression­e lo morde forte e allora trova rifugio nel buddismo, trascorren­do buona parte degli anni 90 nel monastero di Mount Blady in California, dove nel 96 viene ordinato monaco con il nome di Jikan (“Silenzioso”). Per paradosso, mentre è assente, riesce ancora più presente: merito di Jeff Buckley che reinterpre­ta la sua Hallelujah trasforman­dola nell’inno della Generazion­e X. Il ritorno sulle scene sarà dettato da motivi contingent­i: la manager gli porta via 5 milioni di dollari, ne nasce una lunga causa e allora meglio il palco e la sala d’incisione. Non ha pubblicato tanto, non ha venduto tantissimo (il disco dei record è il recente Old ideas, terzo in classifica Billboard), né si è arricchito: Celebrity net worth stima il suo patrimonio in appena 20 milioni di dollari, non una cifra enorme se consideria­mo la popolarità della sua arte. Lo chiamavano “poeta laureato in pessimismo”. Lui obiettava: «Penso a un pessimista come a qualcuno che sta aspettando la pioggia. Io mi sento bagnato fino alle ossa».

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Il cantautore era nato a Montréal nel 1934
AFP Leonard Cohen. Il cantautore era nato a Montréal nel 1934

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