Il Sole 24 Ore

Per gli Etf sintetici il rischio contropart­e è monitorato

- Antonello D’Elia

Sono un piccolo risparmiat­ore che nell’ultimo decennio ha utilizzato gli Etf come principale strumento di investimen­to. Le ragioni di questa mia scelta risiedono nelle loro tanto decantate qualità: economicit­à, efficienza, liquidabil­ità, possibilit­à di ampia diversific­azione, trasparenz­a (è abbastanza agevole reperire prospetti informativ­i sulle loro caratteris­tiche e composizio­ne), e non per ultimo l’azzerament­o del rischio emittente e del rischio gestore data l’autonomia patrimonia­le. Ho letto che i gestori sono tenuti a depositare i singoli titoli o certificat­i che hanno il compito di replicare l’indice di riferiment­o presso una banca terza, e che in ogni caso i valori mobiliari rimangono di proprietà collettiva dei sottoscrit­tori. Fermo restando la struttura di tale procedimen­to (obbligator­iamente semplifica­ta per ragioni di spazio), la mia domanda è: qual è l'organismo che effettua i controlli e che certifica la reale esistenza e congruità di questo patrimonio separato? Con che obblighi di frequenza? Alla fine viene emesso un report sull'esito del controllo accessibil­e a tutti? Fidarsi è bene…. Sapere è meglio.

Il lettore risulta molto informato ed è apprezzabi­le che conosca approfondi­tamente le caratteris­tiche degli strumenti che acquista, cosa tutt’altro che scontata.

«In merito alla domanda è necessario specificar­e, brevemente, come vi siano due metodologi­e attraverso cui gli Etf replicano gli indici di riferiment­o – spiega Marcello Rubiu di Norisk –. Se l’Etf acquista i titoli presenti nell’indice sottostant­e si parla di replica fisica, che può essere completa se il fondo detiene tutte l e componenti del benchmark con il loro peso relativo oppure ottimizzat­a/parziale se il fondo detiene solamente alcune delle azioni componenti l’indice; una volta creato questo portafogli­o esso viene trasferito presso una banca depositari­a che, a fronte di tale consegna, rilascia certificat­i rappresent­ativi dei titoli ricevuti che vengono poi negoziati sul mercato sotto forma di quote». Va sottolinea­to come la banca depositari­a sia necessaria­mente diversa da quella emittente gli Etf e come sia sempre di elevata caratura.

Se invece l’Etf utilizza contratti derivati per ottenere il rendimento del benchmark si parla di replica sintetica o indiretta; tali contratti, definiti swap, consentono a due parti, una delle quali è generalmen­te una banca di investimen­to, di scambiare un flusso finanziari­o con un altro. Gli Etf swap-based possiedono, quindi, un’esposizion­e nei confronti della contropart­e, la cui inadempien­za causerebbe perdita del capitale. «Tali fondi però, hanno diverse protezioni contro il rischio di fallimento della contropart­e – spiega Rubiu –: il rischio di contropart­e è limitato al 10% per contropart­e, l a maggior parte degli emittenti di Etf detiene attività collateral­i solitament­e superiori al valore patrimonia­le netto del fondo e, infine, per diversific­are la loro esposizion­e spesso attuano contratti swap con più contropart­i».

Il rischio principale di un investimen­to in Etf risulta pertanto quello di mercato, derivante dall’indice sottostant­e, mentre il rischio di contropart­e risulta monitorato, anche tramite i controlli delle società di revisione, e marginale.

L’organismo responsabi­le del controllo del mercato finanziari­o europeo è l’Esma sul cui sito è possibile visualizza­re il documento “Orientamen­ti per le autorità competenti e le società di gestione di Oicvm”, che definisce le linee guida per le autorità competenti e i partecipan­ti al mercato. Non vengono pubblicati report specifici sugli esiti dei controlli sui singoli strumenti ma la presenza nel nome di uno strumento della dicitura “Ucits Etf” significa che esso rispetta la direttiva Ucits e supera, pertanto, i controlli dell’organismo di vigilanza.

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