Le quotate non lasciano i rendiconti trimestrali
Meno di una su quattro « diserta » l’appuntamento. Semaforo verde dalla Consob
Anche l’Italia si adegua al resto d’Europa: niente trimestrali (la prima e la terza ovviamente, ovvero i “resoconti intermedi di gestione”). La Consob infatti ha fatto la propria scelta, ovvero quella di abolire l’obbligo di comunicazioni e disciplinare le modalità di comunicazione per quelle società che continueranno a pubblicarle su base volontaria. Finora la possibilità di non pubblicare i resoconti intermedi è stata utilizzata con una certa parsimonia dalle imprese. Di quasi 240 quotate infatti sono 51 quelle che hanno scelto esplicitamente di non presentarla, anche se in alcuni casi ( circa quindici) sono state comunque presentati dei dati. Quasi tutti coloro che hanno presentato dei dati aggiuntivi hanno poi scelto di pubblicare i soli ricavi ( si veda la tabella in pagina elaborata da Analisi Mercati Finanziari del Sole 24 Ore).
La “fedeltà” alle trimestrali in parte può essere spiegata anche con il fatto che il primo documento di consultazione della Consob sull’argomento mostrava una forte propensione al mantenimento delle due scadenze intermedie. L’interruzione del flusso dei dati avrebbe potuto comportare per le imprese delle difficoltà in caso di ripresa dell’obbligo. La direttiva Transparency II infatti ha eliminato l’obbligo, lasciando agli stati la facoltà di ripristinarlo. Il secondo documento di consultazione invece, varato in estate, ha aperto a soluzioni meno drastiche e alla fine la decisione è stata piuttosto “minimalistica”. Si è scelto infatti di non imporre un set minimo di informazioni da dare, cosa che pure era stata da più parti richiesta. Sarà quindi interessante vedere cosa accadrà il prossimo anno, quando le società saranno libere da ogni remora nella scelta del comportamento da adottare. « Probabilmente ci saranno società come le banche che continueranno a dare delle comunicazioni più estese - spiega Marina Brogi, ordinario di International Banking alla Sapienza - mentre altre imprese sceglieranno in base alle esigenze del rispettivo settore di appartenenza » . L’importante è - secondo Brogi - che l’obbligo sia stato abolito «perché le imprese italiane si sarebbero altrimenti trovate a sostenere un onere che quelle di altri paesi non hanno più » .
Come spiega Paola Schwizer, presidente di NedCommunity ( associazione degli amministratori indipendenti): « Sulla base della direttiva Market Abuse le società sono già tenute a comunicare tempestivamente le informazioni price sensitive. Inoltre a fine anno entrerà in vigore anche la direttiva sulle informazioni non finanziarie. Quindi dietro la deliberazione della Consob vi è il presupposto che la trasparenza è ormai data per scontata ed è un obbligo non aggirabile » . A cosa serve allora dare - eventualmente - questa informazione? Secondo Schwizer: «La scelta, in quanto volontaria, già potrebbe essere un segnale per il mercato che azionisti e investitori potrebbero apprezzare in quanto tale. Visto che non c’è neanche un obbligo di contenuto, potrebbe essere questa l’occasione per le società di confrontarsi con azionisti e investitori per condividere il set di informazioni da fornire. Magari tenendo in considerazione anche le esigenze di altri stakeholders » .
« Sarebbe stato meglio abrogarle del tutto» dice l’avvocato romano Francesco Paolo Crocenzi « perché in questo modo si crea comunque un’asimmetria informativa. Le norme prevedono già come livello minimo dell’informazione quella semestrale. Del resto anche i fondi di investimento fanno le loro rilevazioni a livello semestrale » .
Le quotate che non fanno le trimestrali