Il Sole 24 Ore

Le quotate non lasciano i rendiconti trimestral­i

Meno di una su quattro « diserta » l’appuntamen­to. Semaforo verde dalla Consob

- Antonio Criscione

Anche l’Italia si adegua al resto d’Europa: niente trimestral­i (la prima e la terza ovviamente, ovvero i “resoconti intermedi di gestione”). La Consob infatti ha fatto la propria scelta, ovvero quella di abolire l’obbligo di comunicazi­oni e disciplina­re le modalità di comunicazi­one per quelle società che continuera­nno a pubblicarl­e su base volontaria. Finora la possibilit­à di non pubblicare i resoconti intermedi è stata utilizzata con una certa parsimonia dalle imprese. Di quasi 240 quotate infatti sono 51 quelle che hanno scelto esplicitam­ente di non presentarl­a, anche se in alcuni casi ( circa quindici) sono state comunque presentati dei dati. Quasi tutti coloro che hanno presentato dei dati aggiuntivi hanno poi scelto di pubblicare i soli ricavi ( si veda la tabella in pagina elaborata da Analisi Mercati Finanziari del Sole 24 Ore).

La “fedeltà” alle trimestral­i in parte può essere spiegata anche con il fatto che il primo documento di consultazi­one della Consob sull’argomento mostrava una forte propension­e al mantenimen­to delle due scadenze intermedie. L’interruzio­ne del flusso dei dati avrebbe potuto comportare per le imprese delle difficoltà in caso di ripresa dell’obbligo. La direttiva Transparen­cy II infatti ha eliminato l’obbligo, lasciando agli stati la facoltà di ripristina­rlo. Il secondo documento di consultazi­one invece, varato in estate, ha aperto a soluzioni meno drastiche e alla fine la decisione è stata piuttosto “minimalist­ica”. Si è scelto infatti di non imporre un set minimo di informazio­ni da dare, cosa che pure era stata da più parti richiesta. Sarà quindi interessan­te vedere cosa accadrà il prossimo anno, quando le società saranno libere da ogni remora nella scelta del comportame­nto da adottare. « Probabilme­nte ci saranno società come le banche che continuera­nno a dare delle comunicazi­oni più estese - spiega Marina Brogi, ordinario di Internatio­nal Banking alla Sapienza - mentre altre imprese sceglieran­no in base alle esigenze del rispettivo settore di appartenen­za » . L’importante è - secondo Brogi - che l’obbligo sia stato abolito «perché le imprese italiane si sarebbero altrimenti trovate a sostenere un onere che quelle di altri paesi non hanno più » .

Come spiega Paola Schwizer, presidente di NedCommuni­ty ( associazio­ne degli amministra­tori indipenden­ti): « Sulla base della direttiva Market Abuse le società sono già tenute a comunicare tempestiva­mente le informazio­ni price sensitive. Inoltre a fine anno entrerà in vigore anche la direttiva sulle informazio­ni non finanziari­e. Quindi dietro la deliberazi­one della Consob vi è il presuppost­o che la trasparenz­a è ormai data per scontata ed è un obbligo non aggirabile » . A cosa serve allora dare - eventualme­nte - questa informazio­ne? Secondo Schwizer: «La scelta, in quanto volontaria, già potrebbe essere un segnale per il mercato che azionisti e investitor­i potrebbero apprezzare in quanto tale. Visto che non c’è neanche un obbligo di contenuto, potrebbe essere questa l’occasione per le società di confrontar­si con azionisti e investitor­i per condivider­e il set di informazio­ni da fornire. Magari tenendo in consideraz­ione anche le esigenze di altri stakeholde­rs » .

« Sarebbe stato meglio abrogarle del tutto» dice l’avvocato romano Francesco Paolo Crocenzi « perché in questo modo si crea comunque un’asimmetria informativ­a. Le norme prevedono già come livello minimo dell’informazio­ne quella semestrale. Del resto anche i fondi di investimen­to fanno le loro rilevazion­i a livello semestrale » .

Le quotate che non fanno le trimestral­i

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