Il Rijksmuseum attore nel mercato
seum. E non è questo l’unico grande acquisto del museo che in Europa è il più attivo sul mercato: nel 2014 si è aggiudicato da Christie’s a New York una riscoperta del manierista Adriaen de Vries, un bronzo da 22,5 milioni di euro. I fondi per gli acquisti sono privati (tranne nel caso dei ritratti di Rembrandt), mentre l’agilità nel prendere decisioni deriva dall’assetto del museo, privatizzato negli anni 90. «Anche il Ministero dei Beni Culturali italiano è venuto a indagare il funzionamento del nostro meccanismo di privatizzazione» spiega Dibbets.
Come funziona?
La collezione è rimasta proprietà dello Stato, che l’ha data in prestito alla Fondazione Rijksmuseum e dà un contributo per mantenerla. Anche l’edificio del museo è statale e la Fondazione paga un affitto. In realtà riceviamo un contributo per l’affitto senza vincoli di impiego dal Ministero della Cultura e lo versiamo al Ministero degli edifici statali.
A quanto ammonta il contributo governativo?
A un terzo del budget totale, che è pari a 90 milioni. Serve a mantenere la collezione. Il resto – mostre, ricerche, restauri – deriva per un terzo dall’autofinanziato e per l’altro terzo dal contributo di sponsor e donatori.
Com’è suddiviso tra affitto e collezione?
Venti milioni per l’affitto e il mantenimento dell’edificio. Il contributo per l’utilizzo include quello per la collezione ed è di 15 milioni (nel 2015).
È rimasto stabile negli anni?
Dalla crisi del 2008 è sceso di circa il 15%, oggi è stabile. Ma il 2008 non ci ha colpiti così duramente come altri musei europei. Inoltre i tagli ci hanno dato la spinta a creare un ufficio development in cui lavorano 12 persone: ogni impiegato porta al museo più o meno un milione di euro l’anno.
Quante persone museo?
Più di 700.
Qual è il costo del personale? E del direttore?
Il costo dello staff è di circa 30 milioni, quello del direttore 181.000 euro, spese incluse.
Ci sono performance da rispettare?
Stabiliamo degli obiettivi con il ministero. Se non li rispettiamo, il governo può tagliare il contributo. Se li superiamo non c’è un bonus, come si usa, per esempio, in Canada.
Quali sono?
impiega
il
Dobbiamo essere aperti dalle 9 alle 17, generare più del 17% del nostro reddito (siamo già al 30%) e digitalizzare il 90% della collezione. È un grande impegno a cui lavorano 25 persone e che vogliamo concludere in cinque anni. Poi con le immagini delle opere online, il museo si autopromuove, per questo non chiediamo diritti di riproduzione.
Parliamo del contributo privato.
Abbiamo un founder, Philips e tre sponsor principali: la compagnia telefonica olandese KPN, la banca ING e la lotteria BankGiroLoterij, che dà un contributo annuo per gli acquisti. Non possiamo rivelare i singoli contributi, ma insieme superano i cinque milioni.
Come vengono generate le risorse proprie?
Negli ultimi due anni la maggior parte attraverso la biglietteria (56 milioni), poi viene la ristorazione (3,1 milioni) e il negozio del museo (10,9 milioni ).
Quanti visitatori dalla riapertura dal 2013 a oggi?
Nei primi due anni i visitatori sono stati 2,4 milioni l’anno. Nel 2015-2016 il numero si è stabilizzato a 2,2 milioni.
Un suo commento sull’Italia.
L’Italia deve coinvolgere i privati nella conservazione del suo patrimonio con le agevolazioni fiscali. Non solo per il sostegno finanziario, ma anche per creare un legame profondo con la società. E non deve aver paura di prendere decisioni rigorose. Spesso vedo compromessi e improvvisazione. C’è tanto personale qualificato nei musei italiani ma troppe restrizioni sulle decisioni.