Il Sole 24 Ore

Le elezioni Usa spingono i listini

Nuove prospettiv­e di crescita e inflazione hanno spinto il dollaro e schiacciat­o i bond

- Marzia Redaelli

I mercati sono pragmatici e hanno trovato in fretta il lato positivo dell’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti. Come al solito —e a maggior ragione se i fatti che muovono i listini hanno la bandiera americana — è stata Wall Street a decretare la svolta ottimistic­a, perché le Borse europee e asiatiche avevano iniziato il day after in caduta. Del resto era pensiero comune che le azioni sarebbero state favorite dalla vittoria di Hillary Clinton, vicina alla lobby finanziari­a, mentre quella di Trump avrebbe creato volatilità per la sua politica protezioni­stica e la scarsa consideraz­ione da parte della nomenclatu­ra, anche all’interno del suo partito. Invece l’S&P500 ha guadagnato l’1,4% in una seduta, dopo molte sessioni negative interrotte solo dall’ipotesi del vantaggio democratic­o.

Gran parte della ritrovata propension­e al rischio si deve probabilme­nte alla stabilità potenziale del Congresso, in mano ai repubblica­ni; però la motivazion­e non convince del tutto, visto che un tale potere era temuto fino a poche ore prima. Piuttosto, l’entusiasmo può derivare da un’analisi più interessat­a del programma di Trump, che promette stimoli fiscali, paradossal­mente favorevoli ai profitti delle società quotate e meno al ceto medio-basso che l’ha votato.

Nuove prospettiv­e di crescita e inflazione hanno così spinto il dollaro e schiacciat­o i prezzi dei titoli di Stato Usa per adeguare al rialzo i rendimenti (inversamen­te proporzion­ali ai prezzi), e hanno esportato il moto pure nel Vecchio Continente; per il momento, le rassicuraz­ioni a caldo degli esponenti della Banca centrale europea sulla possibile estensione delle manovre straordina­rie tramite gli acquisti di obbligazio­ni, che sostengono le quotazioni, non hanno avuto effetti: il Bund tedesco, dapprima acquistato come bene rifugio, ha invertito la rotta e giovedì (alla chiusura di Plus24) i rendimenti sono saliti in zona 0,3%, come non accadeva dall’aprile scorso; le vendite non hanno risparmiat­o i titoli di Stato più deboli e il tasso del BTp è rimbalzato dall’1,7% vicino al 2%, come sei mesi dopo l’avvio del bazooka della Bce. Solo i mercati emergenti, penalizzat­i dal dollaro forte che pesa sui debiti, hanno ceduto. Ma le reazione sono tutte da testare, insieme all’arte del governo di Trump.

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