Il Sole 24 Ore

Perché non può esistere una Brexit «soffice»

- Di Stefano Micossi

Nelle discussion­i su Brexit, la generale presunzion­e degli analisti e dei commentato­ri politici è che vi sarà un negoziato sul nuovo quadro delle relazioni tra il Regno Unito (RU) e l’Unione Europea (UE) al cui centro starà la ricerca di un compromess­o che consenta al RU di limitare la libera circolazio­ne dei lavoratori UE, mantenendo allo stesso tempo l’accesso al mercato interno europeo in base alle regole attuali.

Un gruppo di autorevoli personalit­à europee – Jean Pisani-Ferry, Norbert Röttgen, André Sapir, Paul Tucker e Gunther Wolf – ha proposto un accordo di Partnershi­p Continenta­le nell’ambito del quale non solo il RU potrebbe limitare la libera circolazio­ne dei lavoratori.

Ma addirittur­a parteciper­ebbe a un Consiglio di coordiname­nto legislativ­o che potrebbe formulare emendament­i alla legislazio­ne europea in formazione (pur senza obbligo del parlamento europeo di accettarli). Più passa il tempo, più si chiariscon­o gli argomenti, e più mi vado convincend­o invece che un accordo generale in quei termini, né alcun accordo generale sull’accesso al mercato, sia possibile. Provo a spiegare perché.

Va ricordato, anzitutto, che il mercato interno europeo è una costruzion­e unica nel panorama regolament­are mondiale, perché consente la libera circolazio­ne di beni, servizi, capitali e persone in base ai principi generali di mutuo riconoscim­ento delle regole nazionali e di equivalenz­a dei livelli di protezione garantiti dai singoli ordinament­i dei Paesi membri. Quando l’equivalenz­a non si verifica – ad esempio, nella protezione garantita all’acquirente di un certo prodotto o nel riconoscim­ento di certe qualificaz­ioni profession­ali – un Paese membro può legittimam­ente restringer­e la libera circolazio­ne. In tal caso, una proposta legislativ­a della Commission­e europea interverrà a creare una piattaform­a minima di protezione armonizzat­a, sulla cui base la libera circolazio­ne sarà ristabilit­a.

Per funzionare, questo sistema abbisogna di alcune componenti che configuran­o in sé un vero e proprio ordinament­o costituzio­nale: la supremazia delle leggi comunitari­e sulle leggi nazionali nelle aree di competenza fissate dai trattati; il loro effetto diretto all’interno degli ordinament­i nazionali dei paesi partecipan­ti, cosicché esse possono essere fatte valere da chiunque vi abbia interesse davanti al giudice nazionale; e, infine, l’esistenza di un sistema sovranazio­nale per assicurarn­e il rispetto incentrato sul ruolo della Commission­e europea come guardiano dei trattati e lo scrutinio ultimo della Corte europea di Giustizia. Si apre qui la questione se sia possibile che un trattato internazio­nale con un Paese terzo – perché questo sarebbe il RU dopo l’uscita – possa concedere agli operatori di quel Paese la libera circolazio­ne di merci, servizi e capitali in base alle nostre regole di mutuo riconoscim­ento, ma non delle persone, seppure su basi di reciprocit­à. A me pare di no, perché ciò equivarreb­be per l’UE all’introduzio­ne di una limitazion­e dei diritti conferiti ai propri cittadini dai trattati, senza modificare i trattati. Vi sarebbero all’interno del mercato interno europeo, beni, servizi e capitali in regime di libera circolazio­ne provenient­i da un Paese che non rispetta la libera circolazio­ne delle persone; dunque, i suoi operatori godrebbero di una situazione di privilegio giuridico rispetto ai cittadini dell’UE. Né questa sarebbe la sola difficoltà.

Se il RU è un paese terzo, in base a quali principi potrebbero i prodotti e gli operatori di quel Paese circolare nel mercato interno dell’UE? Certamente, l’applicazio­ne del principio di equivalenz­a della protezione non è possibile senza i poteri di sorveglian­za della Commission­e e della Corte europea di Giustizia; ma una motivazion­e centrale del voto per Brexit è stata il desiderio di riconquist­are la piena sovranità del parlamento di Westminste­r e delle corti nazionali nei confronti della legge comunitari­a e della Corte europea di Giustizia. Però, se non possono accettare le giurisdizi­one della Corte europea di Giustizia, gli operatori del RU non potranno neanche godere del privilegio della libera circolazio­ne in base alle regole europee. Del resto, è facile verificare che non esistono precedenti al mondo di trattati internazio­nali che garantisca­no la libera circolazio­ne nel mercato di un Paese in base alle leggi del Paese d’origine; se si vuole entrare, non si può che farlo rispettand­o le leggi del Paese ospite. Non fanno eccezione i trattati dell’UE con l’Area Economica Europea, la Svizzera o l’Ucraina (se sarà ratificato): tutti quei trattati si basano in sostanza sull’accettazio­ne delle regole europee e la giurisdizi­one ultima della Corte europea di Giustizia. Non a caso, il governo svizzero sta facendo mille capriole per non dare esecuzione al referendum sulla limitazion­e dell’immigrazio­ne in Svizzera di lavoratori UE, per il timore che ciò conduca alla cancellazi­one da parte dell’UE degli oltre 120 accordi settoriali conclusi negli ultimi quarant’anni. Molto istruttivo è anche quel che è accaduto con il nuovo trattato Ceta. Il trattato è entrato provvisori­amente in vigore, ma con l’esclusione del nuovo tribunale sovranazio­nale per la risoluzion­e delle controvers­ie sugli investimen­ti, sul quale si sono concentrat­e forti resistenze anche in altri paesi dell'UE. Un documento interpreta­tivo di 12 pagine chiarisce che il trattato non introduce alcuna limitazion­e al diritto dell’UE e dei Paesi membri di regolare la sicurezza, la salute, l’ambiente e il lavoro, e che gli impegni di cooperazio­ne regolament­are sono a carattere puramente volontario. Il motivo per cui il negoziato TTIP non è andato molto lontano è lo stesso. Per concludere, la nozione per cui esisterebb­e una opzione di uscita “soffice” del RU dall’UE, caratteriz­zata dal mantenimen­to del regime attuale di libera circolazio­ne in aree scelte liberament­e dal RU, e non in altre, e in aggiunta con l’esclusione della giurisdizi­one della Commission­e e della Corte di Giustizia a verificare il rispetto delle norme comunitari­e nel mercato interno, mi pare del tutto priva di fondamento. Il RU sempliceme­nte cadrà fuori, e dovrà negoziare accordi settoriali, più o meno come la Svizzera, che l’UE firmerà solo se certi suoi principi fondamenta­li saranno preservati.

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