Perché non può esistere una Brexit «soffice»
Nelle discussioni su Brexit, la generale presunzione degli analisti e dei commentatori politici è che vi sarà un negoziato sul nuovo quadro delle relazioni tra il Regno Unito (RU) e l’Unione Europea (UE) al cui centro starà la ricerca di un compromesso che consenta al RU di limitare la libera circolazione dei lavoratori UE, mantenendo allo stesso tempo l’accesso al mercato interno europeo in base alle regole attuali.
Un gruppo di autorevoli personalità europee – Jean Pisani-Ferry, Norbert Röttgen, André Sapir, Paul Tucker e Gunther Wolf – ha proposto un accordo di Partnership Continentale nell’ambito del quale non solo il RU potrebbe limitare la libera circolazione dei lavoratori.
Ma addirittura parteciperebbe a un Consiglio di coordinamento legislativo che potrebbe formulare emendamenti alla legislazione europea in formazione (pur senza obbligo del parlamento europeo di accettarli). Più passa il tempo, più si chiariscono gli argomenti, e più mi vado convincendo invece che un accordo generale in quei termini, né alcun accordo generale sull’accesso al mercato, sia possibile. Provo a spiegare perché.
Va ricordato, anzitutto, che il mercato interno europeo è una costruzione unica nel panorama regolamentare mondiale, perché consente la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone in base ai principi generali di mutuo riconoscimento delle regole nazionali e di equivalenza dei livelli di protezione garantiti dai singoli ordinamenti dei Paesi membri. Quando l’equivalenza non si verifica – ad esempio, nella protezione garantita all’acquirente di un certo prodotto o nel riconoscimento di certe qualificazioni professionali – un Paese membro può legittimamente restringere la libera circolazione. In tal caso, una proposta legislativa della Commissione europea interverrà a creare una piattaforma minima di protezione armonizzata, sulla cui base la libera circolazione sarà ristabilita.
Per funzionare, questo sistema abbisogna di alcune componenti che configurano in sé un vero e proprio ordinamento costituzionale: la supremazia delle leggi comunitarie sulle leggi nazionali nelle aree di competenza fissate dai trattati; il loro effetto diretto all’interno degli ordinamenti nazionali dei paesi partecipanti, cosicché esse possono essere fatte valere da chiunque vi abbia interesse davanti al giudice nazionale; e, infine, l’esistenza di un sistema sovranazionale per assicurarne il rispetto incentrato sul ruolo della Commissione europea come guardiano dei trattati e lo scrutinio ultimo della Corte europea di Giustizia. Si apre qui la questione se sia possibile che un trattato internazionale con un Paese terzo – perché questo sarebbe il RU dopo l’uscita – possa concedere agli operatori di quel Paese la libera circolazione di merci, servizi e capitali in base alle nostre regole di mutuo riconoscimento, ma non delle persone, seppure su basi di reciprocità. A me pare di no, perché ciò equivarrebbe per l’UE all’introduzione di una limitazione dei diritti conferiti ai propri cittadini dai trattati, senza modificare i trattati. Vi sarebbero all’interno del mercato interno europeo, beni, servizi e capitali in regime di libera circolazione provenienti da un Paese che non rispetta la libera circolazione delle persone; dunque, i suoi operatori godrebbero di una situazione di privilegio giuridico rispetto ai cittadini dell’UE. Né questa sarebbe la sola difficoltà.
Se il RU è un paese terzo, in base a quali principi potrebbero i prodotti e gli operatori di quel Paese circolare nel mercato interno dell’UE? Certamente, l’applicazione del principio di equivalenza della protezione non è possibile senza i poteri di sorveglianza della Commissione e della Corte europea di Giustizia; ma una motivazione centrale del voto per Brexit è stata il desiderio di riconquistare la piena sovranità del parlamento di Westminster e delle corti nazionali nei confronti della legge comunitaria e della Corte europea di Giustizia. Però, se non possono accettare le giurisdizione della Corte europea di Giustizia, gli operatori del RU non potranno neanche godere del privilegio della libera circolazione in base alle regole europee. Del resto, è facile verificare che non esistono precedenti al mondo di trattati internazionali che garantiscano la libera circolazione nel mercato di un Paese in base alle leggi del Paese d’origine; se si vuole entrare, non si può che farlo rispettando le leggi del Paese ospite. Non fanno eccezione i trattati dell’UE con l’Area Economica Europea, la Svizzera o l’Ucraina (se sarà ratificato): tutti quei trattati si basano in sostanza sull’accettazione delle regole europee e la giurisdizione ultima della Corte europea di Giustizia. Non a caso, il governo svizzero sta facendo mille capriole per non dare esecuzione al referendum sulla limitazione dell’immigrazione in Svizzera di lavoratori UE, per il timore che ciò conduca alla cancellazione da parte dell’UE degli oltre 120 accordi settoriali conclusi negli ultimi quarant’anni. Molto istruttivo è anche quel che è accaduto con il nuovo trattato Ceta. Il trattato è entrato provvisoriamente in vigore, ma con l’esclusione del nuovo tribunale sovranazionale per la risoluzione delle controversie sugli investimenti, sul quale si sono concentrate forti resistenze anche in altri paesi dell'UE. Un documento interpretativo di 12 pagine chiarisce che il trattato non introduce alcuna limitazione al diritto dell’UE e dei Paesi membri di regolare la sicurezza, la salute, l’ambiente e il lavoro, e che gli impegni di cooperazione regolamentare sono a carattere puramente volontario. Il motivo per cui il negoziato TTIP non è andato molto lontano è lo stesso. Per concludere, la nozione per cui esisterebbe una opzione di uscita “soffice” del RU dall’UE, caratterizzata dal mantenimento del regime attuale di libera circolazione in aree scelte liberamente dal RU, e non in altre, e in aggiunta con l’esclusione della giurisdizione della Commissione e della Corte di Giustizia a verificare il rispetto delle norme comunitarie nel mercato interno, mi pare del tutto priva di fondamento. Il RU semplicemente cadrà fuori, e dovrà negoziare accordi settoriali, più o meno come la Svizzera, che l’UE firmerà solo se certi suoi principi fondamentali saranno preservati.