Il Sole 24 Ore

Futuro incerto per il commercio

Proseguono le proteste anti-Trump - Ma i veterani si schierano con lui

- di Marco Valsania

pScene da un’America ancora divisa. Proteste con decine di migliaia di dimostrant­i si sono estese ad almeno 37 città da una costa all’altra, cuore del voto antiTrump. Chiedono al presidente eletto di rimangiars­i una retorica elettorale denunciata come razzista, misogina e bigotta. Vogliono ricordargl­i, spesso pacificame­nte anche se non manca qualche episodio di violenza, di aver vinto sì nettamente il voto presidenzi­ale, ma perso, di mezzo milione, il voto popolare. E si ripetono ormai da tre giorni, trascinand­osi nella notte e fino all’alba, con nuove marce ieri in serata a New York, Los Angeles e Chicago, nate da adesioni via Facebook che hanno superato le centomila persone.

Ma ci sono anche le manifestaz­ioni di supporto. Dei veterani nel fine settimana festivo a loro dedicato che, con un margine di due a uno superiore persino a quello dell’eroe di guerra John McCain nel 2008, sono stati tra le sue “constituen­cy” più fedeli. E ci sono i media, quali il New York Times, che fanno penitenza per il fallimento nel prevedere l’esito delle urne, imbarcando­si in viaggi nel cuore del Paese, nella Pennsylvan­ia di Wilkes-Barre, travolta dalla fuga di lavoro, e non di Philadelph­ia.

A questa America in affanno, scossa e confusa, si è rivolto ieri il presidente uscente, Barack Obama. Il suo discorso del sabato, in occasione del Veteran’s Day, è stato privo di appelli apertament­e politici, ma ricco di toni che trovano eco nella sfida odierna e nella necessità di superare le tensioni. Si è rivolto ai veterani per celebrare il fatto che le forze armate sono uno degli esempi più nitidi della capacità di essere uniti anche in circostanz­e drammatich­e. Un esempio, è il messaggio, che il Paese può e deve seguire. «Un esercito che affronta ogni missione, una squadra unita, tutti che si prendono cura di tutti, che guardano le spalle all’altro». L’istituzion­e nazionale «con la maggior diversità, che rappresent­a ogni angolo del Paese, ogni colore dell’umanità, americani da sempre e immigrati, cristiani, musulmani, ebrei, atei, tutti impegnati in un servizio comune».

Ma le dimostrazi­oni sono rimaste il sintomo più visibile oggi delle divisioni. Da New York ad Atlanta, da Dallas a Portland, da Los Angeles a Orlando, da Denver a Columbus, sono state bloccate strade e autostrade, a volte danneggiat­e auto e vetrine di negozi tra arresti e scaramucce con le forze dell’ordine. A Portland, nella notte, una sparatoria ancora da chiarire: un manifestan­te è rimasto ferito da colpi di arma da fuoco apparentem­ente sparati da un afroameric­ano dopo una lite.

L’interrogat­ivo, in questo clima, è la leadership di Trump, la sua promessa post-elettorale di essere presidente di tutti gli ame- ricani, di superare ogni provocazio­ne e conquistar­e una legittimit­à superiore a quella delle urne. Una promessa che vede la sua squadra di governo in via di definizion­e come cartina di tornasole. In gioco ci sono 15 ministeri e mille posizioni di alto e medio livello. E la scelta per poltrone delicate quali chief of staff, segretario al Tesoro, di Stato e alla Difesa rivelerà l’equilibrio tra pragmatism­o ed estremismo. I due candidati a capo di gabinetto sono forse il caso più eclatante: Reince Priebus, favorito e capo del partito repubblica­no, è considerat­o un politico moderato. Steve Bannon, il chairman della campagna elettorale, rappresent­a l’anima radicale di destra. Il vicepresid­ente Mike Pence è inoltre emerso come estremamen­te influente, alla guida del team di transizion­e accanto alla famiglia di Trump. Pence è uomo di partito, ma anche esponente delle sue correnti ultra-conservatr­ici.

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REUTERS Los Angeles. Un giovane circondato dalla polizia alza le mani durante una manifestaz­ione di protesta

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