Il Sole 24 Ore

Ape, anticipo fino all’85% della pensione

Il tetto con l’uscita anticipata di 3 anni. Si sale al 90% con due e al 95% con uno - Pagate solo 12 mensilità

- Davide Colombo Marco Rogari

pLa partita sull’Anticipo finanziari­o a garanzia pensionist­ica, ormai conosciuto come Ape, non si è ancora conclusa. E si continua a giocare all’interno di un perimetro che, con il trascorrer­e dei giorni, diventa sempre più ridotto. Ieri dal Governo sono usciti i primi particolar­i dell’atteso Dpcm, da varare entro gennaio. Ne risulta che per accedere dal prossimo mese di maggio al cosiddetto prestito bancario “ponte”, con un anticipo di un anno non si potrà chiedere un Ape superiore al 95% della pensione mensile certificat­a dall’Inps. E che il tetto scenderà al 90% con un uscita anticipata di 2 anni e all’85% nel caso di un anticipo di 3 anni. Naturalmen­te i lavoratori interessat­i (con 63 anni e 20 di contributi minimi) potranno chiedere anche meno di anticipo sulla pensione futura, soprattutt­o se lo fanno mantenendo un impiego a tempo determinat­o oppure se optassero per l’accoppiata ApeRita, utilizzand­o cioè la totalità o una parte del capitale accumulato nel fondo pensione complement­are per ottenere una rendita mensile negli anni che mancano alla pensione di vecchiaia. L’obiettivo, in entrambi i casi, è quello di abbattere il più possibile l’onere del rimborso ventennale che scatta con la pensione, sapendo che l’incidenza media annua sarà del 4,6-4,7 per cento.

La decisione di mettere un limite alla richiesta di prestito e di non prevedere la tredicesim­a (che peraltro non è prevista neanche nell’Ape social nè nella Naspi) - hanno spiegato ieri dal team del sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, è stata dovuta alla necessità di non far salire troppo la rata da pagare una volta in pensione. «Avremmo voluto tenere più basso il premio assicurati­vo - hanno spiegato - ma per farlo avremmo dovuto ridurre la durata del prestito, magari a 10 anni. E a questo punto sarebbe salita troppo la rata di restituzio­ne». Vale ricordare che la norma sull’Ape prevista in manovra prevede un altro margine di sicurezza: la pensione, al netto del rimborso Ape che scatta dopo gli anni di anticipo con lo sconto del 50% in termini di detrazione secca su interessi e assicurazi­one, non potrà in ogni caso scendere sotto la soglia di 1,4 volte l’assegno sociale.

Questi particolar­i del Dpcm - che conterrà anche il tasso di interesse sull’anticipo finanziari­o (Tan) e il valore del premio assicurati­vo previsto (sul 29% del capitale dovuto all’alto rischio di premorienz­a) - avrà naturalmen­te un impatto sui flussi di accesso all’Ape, già scremata sul versante “social”, ovvero del prestitopo­nte a costo zero”, con l’introduzio­ne di due soglie non certo troppo soft per l’accesso: 30 anni di contribuzi­one per i lavoratori disoccupat­i o disabili e 36 anni per i soggetti compresi in un elenco di attiva “gravose” non troppo esteso (dagli operai edili finto agli infermieri di sala operatoria e ai macchinist­i).

Ma proprio mentre il Governo precisa i paletti che delimitera­nno il territorio della nuova flessibili­tà in uscita seppure di tipo “extraprevi­denziale”, in Parlamento cresce il pressing per allargare il perimetro di riferiment­o facendo leva su possibili correzioni al Ddl di Bilancio all’esame della Camera, dove è stato inserito il pacchetto previdenzi­ale che comprende anche l’Ape. Dalla commission­e Lavoro, presieduta dal Pd Cesare Damiano, è già messo nero su bianco (e approvato) un emendament­o alla manovra per far scendere da 36 a 35 anni la soglia di accesso all’Ape sociale per i lavoratori impiegati in attività gravose. E la stessa commission­e vede di buon occhio un arricchime­nto dell’elenco dei lavori faticosi ai quali garantire l’Anticipo pensionist­ico a costo zero. Con il chiaro obiettivo di allargare il più possibile il bacino dei potenziali beneficiar­i sul quale, contempora­neamente, i tecnici del Servizio Bilancio di Montecitor­io chiedono al Governo di fare chiarezza per poter valutare con precisione il reale impatto contabile dell’Ape. Secondo gli esperti della Camera la platea dei beneficiar­i non è affatto chiara. Altro tema che sarà quasi certamente affrontato è il probabile rifinanzia­mento della cosiddetta “opzione donna”, ovvero la possibilit­à per alcune lavoratric­i di andare in pensione prima (con 57-58 anni e 35 di contributi) con un ricalcolo contributi­vo.

L’iniziativa del Governo di rendere più flessibili i meccanismi di uscita resta importante per fornire un’opzione in più ai lavoratori che in situazione disagiate, corrono il rischio, una volta esauriti gli ammortizza­tori, di rimanere per diversi anni senza stipendio e pensione. Ma a questo punto servirebbe che Esecutivo e maggioranz­a trovassero una strada comune da percorrere, anche per dare certezza a meccanismi assolutame­nte nuovi e, quindi, ancora tutti da testare. Non a caso è prevista una lunga fase di sperimenta­zione.

IL COSTO DELLA RATA Si pagherà il 4,7% sulla rata di pensione per ogni anno di anticipo. L’assegno netto finale non dovrà essere inferiore a 1,4 volte il minimo

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