Il Sole 24 Ore

Piani risparmio, resta il nodo Ue su una quota riservata alle «piccole»

In stand by la proposta di modifica per rendere più efficaci i Pir

- Carmine Fotina

Appena delineati dalla legge di bilancio, i Piani individual­i di risparmio (Pir) già dividono gli operatori del settore. Una diffusa richiesta emersa già in fase di elaborazio­ne delle prime bozze, cioè un maggiore orientamen­to degli investimen­ti verso le piccole imprese, è in questi giorni oggetto di riflession­i tra i tecnici del governo.

Così come è stata confeziona­ta, la misura potrebbe favorire l’afflusso di risorse verso medie imprese più strutturat­e mancando uno degli obiettivi che l’hanno ispirata, ovvero supportare finanziari­amente le imprese meno attrezzate a intercetta­re sia il credito bancario sia capitali alternativ­i. Ecco quindi, da parte di diversi operatori, la proposta di istituire una quota minima di investimen­to in piccole imprese che hanno i requisiti per accedere al Mercato alternativ­o del capitale, l’Aim. In questa fase appare «difficile superare i vincoli comunitari» rivelano su questo punto fonti di governo, con riferiment­o a un passaggio complesso che andrebbe ridefinito con Bruxelles per negoziare una “quota Pmi” che non configuri la misura come incompatib­ile con le regole per gli aiuti di Stato. Per questo una correzione in Parlamento, con emendament­o, appare non semplice.

Se i Pir dovessero conservare l’attuale formulazio­ne, le imprese meno strutturat­e rischiereb­bero in effetti di restare ai margini di un flusso di investimen­ti che la relazione tecnica del governo stima in 1,8 miliardi nel primo anno e poi in crescita, fino a 5,4 miliardi dal 2021.

Ricapitola­ndo, l’articolo 18 della legge di bilancio introduce a partire dal 2017 un significat­ivo incentivo per chi utilizza i piani individual­i di risparmio a lungo termine, in pratica dei “contenitor­i fiscali” (Oicr, gestioni patrimonia­li, ma anche contratti di assicurazi­oni o depositi titoli) al- l’interno dei quali i risparmiat­ori italiani possono collocare praticamen­te tutti gli strumenti finanziari esistenti sul mercato retail purché l’insieme di tali strumenti sia posseduto per almeno 5 anni. Fino a 150mila euro, con tetto annuo di 30mila euro, il risparmiat­ore che apre un Pir gode dell’esenzione da tassazione dei redditi generati dall’investimen­to.

Il paniere degli investimen­ti deve però rispettare una precisa composizio­ne: in ciascun anno di durata del piano, per almeno i due terzi dell’anno, almeno il 70% dovrà andare in strumenti finanziari (azioni o obbligazio­ni quotate e non) emessi o stipulati con imprese non «immobiliar­i» italiane, della Ue o dello Spazio economico europeo ma con stabile organizzaz­ione in Italia. Di questo 70% poi, il 30% (in pratica il 21% dell’investimen­to totale) deve essere composto da strumenti finanziari di società diverse dalle 40 incluse nell’indice Ftse Mib. Il rischio però, secondo alcuni, è che questo 21% si concentri in modo prevalente tra medie aziende quotate che sono sotto l’asticella delle “big 40”.

In altre parole mentre l’Italia ha già discusso con Bruxelles e ottenuto informalme­nte il via libera alla riserva che elimina dal target di investimen­to l’indice che raccoglie circa l’80% della capitalizz­azione di mercato interna, composto da società a liquidità elevata, almeno per ora teme di incassare il «no» europeo di fronte alla richiesta di un’ulteriore restrizion­e - pro piccole imprese - del perimetro.

I VINCOLI Un’eventuale restrizion­e del perimetro a vantaggio delle aziende del mercato «Aim» rischiereb­be il no di Bruxelles

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