Ma l’export dà lavoro a 12 milioni di americani
Se davvero nell’agenda di Donald Trump ci fosse un’America più protezionista, la già debole ripresa mondiale avrebbe vita ancor più grama. Con il loro costante e crescente deficit commerciale, quasi raddoppiato tra il 1999 e il 2015 a quota 500 miliardi di dollari, gli Stati Uniti offrono una stampella insostituibile all’economia globale. Nel 2015, l’Unione Europea ha piazzato oltre-atlantico il 21% dei beni e servizi esportati, per un valore di 371,3 miliardi di euro, in crescita del 19% rispetto all’anno precedente, e con un attivo commerciale di 122 miliardi di euro. Alla flebile economia italiana, l’export negli Stati Uniti ha regalato una boccata d’ossigeno da 36 miliardi di euro.
Un irrigidimento della posizione commerciale di Washington, che non ha bisogno dello strumento dei dazi per concretizzarsi, ma potrebbe esprimersi attraverso le barriere non-tariffarie (regolamenti, licenze, norme fito-sani- tarie), sarebbe accompagnato da una reazione uguale e contraria dei partner, con un’ulteriore frenata del commercio mondiale, già quanto mai debole: per il 2016 la Wto prevede una crescita dell’1,7%, inferiore a quella del Pil per la prima volta dal 2001 (escluso l’annus horribilis del 2009).
Un’America più mercantilista non sarebbe però automaticamente un’America più ricca. È su questa banale constatazione che si basano le previsioni (e le speranze) di chi punta su un Trump presidente molto diverso dal Trump candidato. Il peso dell’interscambio commerciale (import-export di beni e servizi) nell’economia statunitense non ha fatto che crescere dagli anni 50 in poi, passando da meno del 10% del Pil nell’immediato dopoguerra al 30% attuale (dato Ocse 2014). Non una cifra esorbitante, anzi: da questo punto di vista, gli Stati Uniti sono il Paese meno allacciato ai flussi commerciali nella classifica Ocse, e quindi quello che più potrebbe permetterselo, puntando sull’enorme mercato interno (per l’Italia l’interscambio vale il 56% del Pil, per la Germania l’85%).
Tuttavia, il dipartimento del Commercio statunitense stima che i quasi 2.300 miliardi di dollari di esportazioni made in Usa danno lavoro a 11,7 milioni di persone, il 26% delle quali sono nel settore manifatturiero e il 24% nell’agricoltura. Oltre 300mila imprese vendono beni e servizi sui mercati internazionali e per il 98% si tratta di aziende con meno di 500 addetti.
Il Nafta - per Trump il «peggiore degli accordi nella storia degli Stati Uniti» - consente alle imprese americane 3 miliardi di dollari al giorno di operazioni commerciali con i partner in Canada e Messico. A renderle possibili è l’integrazione delle catene del valore, grazie all’eliminazione dei dazi e a regolamenti chiari e stabili. Azzerare quel trattato, avvisa William Watson del Cato Institute, le danneggerebbe gravemente, ma a rimetterci non sarebbe solo il Messico.