La crisi dei bond e quella scommessa sull’inflazione
L’altra faccia del sollievo e della forse inaspettata euforia con cui le Borse hanno accompagnato l’altrettanto inattesa elezione di Donald Trump sta tutta nella débâcle dei bond: un mercato che secondo Bloomberg in una sola settimana ha perso su scala globale oltre mille miliardi di dollari di valore. E tutto perché nel nuovo presidente Usa si è voluta vedere una persona che cercherà di rilanciare l’economia soprattutto attraverso sgravi fiscali, che a loro volta appesantiranno il già elevato debito pubblico e creeranno inflazione costringendo così la Federal Reserve a mosse più incisive sui tassi.
Va detto che sul mercato si è trovato terreno già fertile per far sviluppare in poche ore movimenti così significativi, perché almeno da un paio di mesi gli investitori ragionavano sul ritorno dell’inflazione su scala globale e sulla correzione di certe politiche monetarie che attirano su di sé sempre più dubbi perché troppo espansive. Sotto questo aspetto, il successo di Trump ha rappresentato la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo, ma ha forse creato anche onde eccessive nell’acqua presente in quel vaso.
Per uscire dalla metafora, il movimento visto la scorsa settimana (la peggiore per i bond dal 2013, da quando cioè la Fed inizio a parlare di ridurre lo stimolo monetario) è apparso fin troppo esagerato a molti analisti e per diversi motivi. Il primo, di sicuro, è che non esiste ancora niente di definito nel programma di Trump, né è chiaro se i suoi intenti protezionistici sul commercio globale potranno in definitiva frenare quella spinta che si intende ottenere con il taglio delle tasse e gli investimenti in infrastrutture.
Guardando poi in modo più specifico all’Eurozona, i cui titoli si sono mossi in simbiosi con i Treasury americani, viene da obiettare come non vi sia ancora traccia di quella inflazione su cui il mercato punta, né evidenza di una riduzione delle misure espansive targate Bce, che anzi secondo una buona parte degli economisti potrebbe decidere a dicembre di estendere oltre marzo il suo quantitative easing.
Con tutta probabilità la pluridecennale fase rialzista dei mercati obbligazionari sarà davvero arrivata al capolinea, come predicono per l’ennesima volta molti analisti, e sarà quindi forse anche difficile rivedere un Bund decennale sottozero oppure un BTp sfiorare l’1% come tre mesi fa. Ma si ha anche la sensazione che qualcuno stia esagerando o semplicemente anticipando i tempi del ritorno dell’inflazione e che il cammino verso la normalizzazione dei tassi non sarà così lineare. Al contrario del Vix, il barometro sulla volatilità di Wall Street crollato dopo l’elezione di Trump, il Move che è l’indice corrispettivo per i bond è balzato del 20% in tre giorni e di quasi il 50% dai minimi di tre settimane fa, e preannuncia periodi burrascosi.