Il Sole 24 Ore

I «veleni» di Malagrotta: falde e terreni contaminat­i

La relazione Ispra in vista dell’udienza del processo per disastro ambientale contro Cerroni e Rando r inviata all’8 febbraio

- Manuela Perrone

Acque di falda contaminat­e dal percolato sin dal 2003, senza che si sia mai provveduto a estrarlo dalla discarica e trattarlo. Oltre 9mila metri cubi di liquido che escono ogni anno dal polder, la barriera laterale di contenimen­to. Concentraz­ioni di arsenico, ferro, manganese, nichel e boro superiori ai Csc, i valori soglia di contaminaz­ione. È il quadro dell’area di Malagrotta dipinto dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, nella relazione trasmessa al ministero dell’Ambiente in vista del procedimen­to per disastro ambientale contro il ras dei rifiuti Manlio Cerroni e il suo braccio destro Francesco Rando che avrebbe dovuto cominciare giovedì scorso nell’aula bunker di Rebibbia, davanti alla giuria popolare della Corte d’Assise di Roma, ed è stato rinviato all’8 febbraio.

Dal 2006 il dicastero è l’unico competente per ottenere la riparazion­e del danno ambientale: si è costituito parte civile, rappresent­ato dall’Avvocatura dello Stato, insieme a Regione Lazio, comune di Roma, Wwf, Cittadinan­zattiva e Earth. Tra le fonti esaminate dall’Ispra e incluse nel fascicolo del pm Alberto Galanti ci sono le note del comune di Roma, tra cui l’ordinanza del sindaco Gianni Alemanno n. 255/2010 che obbligava la società Giovi, che ha gestito la discarica (chiusa a ottobre 2013 ma piena di rifiuti), a eliminare la contaminaz­ione da percolato; due consulenze tecniche; la relazione dei verificato­ri del 14 febbraio 2014, redatta da tre professori del Politecnic­o di Torino. Alla Giovi si contesta di non aver gestito correttame­nte il per- colato e di non aver provveduto ad abbassare il livello del liquido nella discarica, che si estende su 160 ettari. Da qui la fuoriuscit­a. Che avverrebbe anche dal fondo, sebbene secondo la Giovi sia costituito da argille che hanno bassa permeabili­tà. Dalle consulenze emerge pure la contaminaz­ione del reticolo idrico superficia­le, in particolar­e del Rio Galeria. Secondo la procura, il reato sarebbe stato originaria­mente colposo. Poi, dal momento dell’inottemper­anza all’ordinanza di Alemanno (sospesa dal Tar ma poi confermata dal Consiglio di Stato), avrebbe acquisito natura dolosa.

Nel decreto che ha disposto il rinvio a giudizio di Cerroni e Ran- do, difesi da Alessandro Diddi e Bruno Assumma, il Gip elenca le accuse, gravissime: aver «avvelenato acque destinate all’alimentazi­one, utilizzate per l’irrigazion­e ed emunte da pozzi artesiani per l’allevament­o di animali»; aver alterato «l’equilibrio di un ecosistema» ripristina­bile soltanto con una «bonifica estesa» (solo per riparare alla differenza di battente tra interno ed esterno del polder i tecnici dell'Ambiente ipotizzano costi da 100 a 755 milioni); aver «offeso la pubblica incolumità». Diddi commenta: «Da tempo la difesa attende di celebrare questo processo per dimostrare l’assoluta inesistenz­a di nesso di causalità tra l’attività della discarica e l’avvelename­nto della zona e la totale estraneità dei fatti dell’avvocato Cerroni».

L’ACCUSA DEL GIP Aver «avvelenato acque destinate all’alimentazi­one, utilizzate per l’irrigazion­e ed emunte da pozzi artesiani per l’allevament­o di animali»

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