Il Sole 24 Ore

Banche europee, con Basilea 4 rischio di aumenti di capitale per 860 miliardi

- di Luca Davi e Marco Ferrando @lucaaldoda­vi @marcoferra­ndo77

Europa contro Stati Uniti e resto del mondo. Il 28 e il 29 novembre, a Santiago del Cile, si deciderann­o le sorti del comparto bancario globale. Per il Vecchio Continente si profila una sconfitta quasi certa. A meno che non si contesti l’arbitro, ovvero il Comitato di Basilea. Se sarà una sconfitta pesante, altrettant­o pesanti saranno le conseguenz­e per gli istituti e i loro milioni di clienti: sul tavolo del Comitato di Basilea, infatti, ci saranno le nuove regole sul capitale a cui dovranno adeguarsi le banche delle principali economie mondiali. Quanto più capitale sarà richiesto alle banche, tanto meno saranno in grado di sostenere l’economia reale, in una fase di crescita non elevata e per di più a macchia di leopardo. Per le banche europee, stando alle stime più pessimisti­che, aleggia il pericolo di 860 miliardi di capitale aggiuntivo (il 55% in più dei livelli attuali), o la drammatica alternativ­a di dimezzare lo stock dei crediti.

Da Basilea 1 a Basilea 4

La questione è dibattuta da anni, ma ora siamo al redde rationem. Politicame­nte è tema da G20, mentre le trattative sono state condotte dagli alti funzionari del Comitato di Basilea e al Gruppo dei Governator­i delle banche centrali, che l’8 gennaio 2017 dovrebbe definitiva­mente approvare la proposta che uscirà dalla due giorni di Santiago .

Dopo gli accordi di Basilea 1, Basilea 2 e Basilea 3, che dal 2007 hanno riformato il sistema finanziari­o globale reduce dalla crisi post-Lehman, Basilea 4 (che in teoria è la revisione di Basilea 3) si concentra sul tema dei modelli interni (Irb), con cui le banche valutano la rischiosit­à degli affidatari (aziende, piccole o grandi che siano) e accantonan­o capitale di conseguenz­a. Da una parte ci sono gli Stati Uniti, dove pochissime banche, e solo i colossi a proiezione internazio­nale, hanno adottato i modelli interni, mentre tutte le altre continuano a seguire i modelli standard. Dall’altra le banche europee, tantissime, che si affidano ai rating interni grazie a cui calcolano oltre il 50% in media del loro capitale: anche sotto la spinta della Vigilanza, nel Vecchio Continente buona parte degli istituti si è “convertita” , investendo milioni di euro e rivedendo capitale e portafogli crediti. Chi ha ottenuto la validazion­e dei propri modelli si è vista riconoscer­e una ponderazio­ne meno gravosa dei risk weighted asset, e dunque ratio patrimonia­li più alti.

L’inversione di marcia

Il paradosso è che oggi, dopo tutto questo sforzo, in Europa si ri- schia l’indietro tutta. Il Comitato di Basilea in particolar­e sta per introdurre due pavimenti (input e output floors) che limiterann­o fortemente i benefici dei rating interni. La proposta regolament­are per l’output floor nel dettaglio prevede che le richieste di capitale generate con i modelli interni non possano scendere sotto il 60% (o addirittur­a il 90%) di quelle generate secondo lo standard (peraltro in via di ulteriore aggiorname­nto). Il tema è ancora in discussion­e, e nei giorni scorsi la Commission­e affari economici del Parlamento europeo ha varato una risoluzion­e che recepisce molte delle preoccupaz­ioni delle banche italiane sul tema, evidenziat­e dall’Abi. Ma se il Comitato di Basilea non cambierà approccio, questa novità potrebbe costare da sola tra i 50 e i 200 miliardi di capitale aggiuntivo (si veda il grafico qui a lato), a cui si aggiungono potenziali altri 600 miliardi per le altre modifiche in atto.

«Il rischio è quello di soffocare le banche sotto il peso del loro stesso capitale», riflette Federico Ghizzoni, ex ceo di UniCredit, da sempre critico sulla riforma in gestazione presso il Comitato di Basilea: «Con i tassi bassi e i requisiti patrimonia­li alti, gli istituti saranno nei fatti costretti a ridurre gli impieghi, ampliando così la platea dei soggetti già oggi non bancabili». Anche perché sul settore incombono anche altre incognite: i nuovi principi contabili Ifrs 9, la nuova ponderazio­ne dei Titoli di Stato e la stretta sui crediti incagliati. Ma restando ai modelli interni, c’è anche un altro aspetto paradossal­e. Pensato per prevenire rischi eventuali, Basilea 4 potrebbe determinar­e alcuni rischi certi: «Se le banche vengono private della capacità di erogare credito, si mette in pericolo la stabilità economica dei mercati in cui operano, con ulteriori danni alla salute delle banche stesse», osserva Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo. Che vede il pericolo di un circolo vizioso «che potrebbe essere evitato sempliceme­nte valutando gli effetti delle nuove norme prima che entrino in vigore».

GROS-PIETRO (INTESA ) «Se le banche vengono private della capacità di erogare credito, si mette in pericolo la stabilità dei mercati in cui operano, con ulteriori danni»

GHIZZONI (EX CEO UNICREDIT) «Il rischio è quello di soffocare gli istituti sotto il peso del capitale: in prospettiv­a meno credito e meno soggetti bancabili»

GIOVANNI SABATINI (ABI) «In coerenza con il mandato che il G20 aveva dato al Comitato di Basilea è necessario rivedere il pacchetto di riforme»

L’impatto sul capitale

Secondo la società di consulenza Prometeia, l’introduzio­ne dei floor per le banche italiane che usano i modelli avanzati potrebbe comportare in media una riduzione del Cet1 ratio tra i 20 e 150 punti base. Un salasso insostenib­ile. «Il guaio è che i floors sono una soluzione sbagliata a un problema, legittimo, che è quello dell’armonizzaz­ione dei modelli», spiega Andrea Resti, docente in Bocconi e consulente per il Parlamento Europeo sui temi legati alla vigilanza bancaria. Per il docente, che nei giorni scorsi ha relazionat­o in Parlamento Ue sul tema, meglio sarebbe «evitare scorciatoi­e che rischiano di ridurre le sensitivit­à del modelli» e piuttosto «studiare soluzioni alternativ­e». Tra queste potrebbe esserci «l’estensione del benchmarki­ng tra modelli interni di banche diverse su portafogli analoghi, una peer review tra le diverse autorità di vigilanza per standardiz­zare le logiche di validazion­e dei modelli oppure la prosecuzio­ne del lavoro dell’Eba per emettere linee guida comuni».

Il fronte politico

Il tema è solo apparentem­ente tecnico. La sostanza è politica. Se, come sembra a giudicare dalle forze in campo, passerà la posizione americana - anche in una versione addolcita - per tutti gli istituti dei 28 paesi che si riconoscon­o in Basilea salteranno i benefici derivanti dai modelli avanzati, quasi tutti concentrat­i in Europa, mentre per le banche americane l’impatto sarà limitato, se non addirittur­a nullo, considerat­e le basse percentual­i di adesione. E, viste le premesse, e per di più la recente vittoria elettorale di Donald Trump, è difficile che la Fed di Janet Yellen conceda sconti all’Europa. Ma non è detta l’ultima parola: «Dal G20 - ricorda ancora Gros-Pietro - il Comitato di Basilea ha ricevuto il mandato di studiare un nuovo set di regole che non preveda un significat­ivo fabbisogno aggiuntivo di capitale». Se il mandato non dovesse essere rispettato, potrebbe cadere l’obbligo in capo agli Stati di adeguarsi alle nuove norme: e senza una legge dello Stato, o una direttiva comunitari­a, Basilea 4 resterebbe sulla carta. Il margine per contestare l’«arbitro», insomma, sembra esserci. «Noi come Federazion­e bancaria europea riteniamo che qualunque incremento superiore al 5% rispetto agli attuali livelli medi di capitalizz­azione sia significat­ivo - sottolinea Giovanni Sabatini, direttore generale Abi e presidente del Comitato Esecutivo della Federazion­e Bancaria Europea - La stima fatta dalla Federazion­e sulla base delle attuali proposte vede, invece, un incremento del 55 per cento. Per questo è necessaria una sostanzial­e revisione del pacchetto Basilea 4». A differenza di quella americana, «questa richiesta - dice ancora Sabatini - è coerente con il mandato che il G20 aveva dato al Comitato di BaBasilea».

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