Che noia l’identità!
Quarant’anni prima di Elena Ferrante, un altro mistero tormentava la comunità letteraria: chi era in realtà Émile Ajar, sconosciuto esordiente e vincitore, col suo secondo romanzo, del più prestigioso premio di Francia? Correva l’anno 1975 e quella vittoria era tecnicamente una truffa perché l’autore fantasma era Romain Gary, già detentore di un Goncourt (nel 1956 con Le radici del cielo) e quindi nemmeno candidabile.
L’arcano fu rivelato solo alla morte dello scrittore, con la pubblicazione del suo testamento letterario, intitolato Vita e morte di Émile Ajar e ora edito da Neri Pozza, con una postfazione di Riccardo Fedriga, più fotografie e stralci dei romanzi più famosi di Gary, una Ferrante ante litteram. E infatti le analogie sono sorprendenti, e il diavolo sguazza sempre nei dettagli: nel 1974, al debutto di Ajar nella narrativa con Gros Câlin («Coccolone», poi diventato Mio caro pitone nella successiva edizione con il finale precedentemente tagliato), i giornali dissero che sotto lo pseudonimo si nascondeva un terrorista libanese, Hamil Raja, proprio come Raja, Anita Raja, è la più ac- creditata alterego di Elena Ferrante.
Altri cronisti fecero, invece, i nomi di Queneau e Aragon, o scrissero che «il libro era il prodotto di un “collettivo”», ricorda Gary. «Incontrai persino una giovane donna che aveva avuto una storia con Émile, il quale, a suo dire, era un amante molto focoso. Spero di non averla troppo delusa». Un anno dopo, il truffaldino artista chiese gentilmente al cugino Paul Pavlowitch di recitare al posto suo la parte del “vero Ajar”: «L’avventura che ho vissuto è stata, con una sola eccezione, senza precedenti per la rilevanza che ha avuto nella storia della letteratura».
Gary-Ajar confezionò ben quattro romanzi: L’egiziano Ahmed Naji, la turca Aslı Erdogan, l’honduregno Cesario Alejandro Félix Padilla Figueroa, la palestinese Dareen Tatour e il cinese Gui Minhai sono gli scrittori, poeti ed editori incarcerati per reati d’opinione cui il Pen International ha dedicato la giornata dello scrittore in prigione, il prossimo 15 novembre (http:// www.pen-international.org) oltre a Mio caro pitone e La vita davanti a sé, Pseudo del 1976 e L’angoscia del re Salomone del 1979. Proprio nel marzo di quell’anno, lo scrittore mise nero su bianco la verità, sbeffeggiando critici e letterati creduloni, elogiando i pochi che avevano intuito il giochetto e ringraziando gli amici omertosi: «Ho un grande debito di riconoscenza verso chi mi è stato vicino. Perché erano tanti quelli che conoscevano il segreto, e che l’hanno mantenuto fino in fondo».
Gary ha sempre avuto un rapporto complesso e irritato con l’identità, con la «faccia» affibbiatagli indebitamente da altri: era così «stanco di essere soltanto se stesso» che rinnegò le sue radici ebreo-lituane e si cambiò persino il nome di battesimo, lui che all’anagrafe era Roman Kacev. La sua fu una «poetica del fare pseudo», proteiforme e cangiante, dalle mille vite davanti e dietro di sé: con l’invenzione di Ajar, «finalmente il sogno di un romanzo totale, in cui ero insieme personaggio e autore, era alla mia portata... Mi sono davvero divertito. Arrivederci e grazie».
Due giorni prima del suicidio, il 30 novembre 1980, Gary scrisse le istruzioni alla pubblicazione di Vita e morte di Émile Ajar: «La data in cui queste rivelazioni verranno fatte sarà decisa da Robert e Claude Gallimard d’intesa con mio figlio». Così avvenne, nel luglio del 1981, sette anni dopo il grande imbroglio: fine dei pettegolezzi.
Romain Gary, Vita e morte di Émile Ajar, Neri Pozza, Vicenza, pagg. 128, € 12