Una modernità scomposta
Una approfondita e sistematica meditazione sulla «vita offesa» nelle sue odierne manifestazioni
Uno straordinario frammento hegeliano di sole tre pagine offre il pre-testo per interrogarsi su un intero periodo della cultura tedesca, quello dell’età di Goethe. Scomposizioni si scompone poi, prismaticamente, in una serie di questioni teoriche e storiche, a ciascuna delle quali corrisponde un autore: Kant, Fichte e Hegel, nel campo della filosofia; Hölderlin, Novalis e Goethe in quello della poesia e della letteratura (sullo sfondo, a maggiore distanza, Spinoza, Rousseau e Condorcet). L’unità è data dall’intreccio e dal progressivo inserimento dei temi in una compatta struttura espositiva a raggiera.
Le domande così impostate inquadrano i limiti che imprigionano le forme di esistenza e sapere entro vincoli politici, economici e ideali che causano sofferenza e disagio, specie quando si vive in uno Stato che si sta sgretolando; ai criteri per orientare le vaghe attese di una «vita migliore» verso obiettivi capaci di eliminare il ripiegamento dei singoli su un’interiorità inquieta e quello delle moltitudini su una rassegnazione insoddisfatta; alle nuove specie di pensiero, di soggettività e di «autocoscienza» suscettibili di acclimatarsi in un mondo che moltiplica i fattori di interdipendenza, differenziazione e conflittualità. Più in generale, lo sviluppo di questi argomenti consente di esaminare da vicino una delle prime e più concise formulazioni moderne della logica del mutamento e della «contraddizione», termine che non ha ancora un senso tecnico, ma che rinvia a processi oggettivi, a conflitti indipendenti dall’intelligenza e dalla volontà degli uomini.
La razionalizzazione di tali spinte contrastanti ha prodotto teorie incentrate sulla contraddizione e la dissonanza, volte a comprendere e a spiegare la coesistenza nello stesso soggetto di idee, sentimenti e schemi d’azione che – secondo le logiche tradizionali – avrebbero dovuto risultare incompatibili, escludersi o elidersi a vicenda, e che danno invece luogo a nuovi tipi di conoscenza, di sensibilità e di condotta. Ma ha anche generato poetiche in cui la coscienza si inoltra nel suo cono d’ombra, si abitua a vedere al buio, si arricchisce di sfumature e sperimenta ardite variazioni di se stessa, nello sforzo – portato sino al virtuosismo – di trasformare l’esistenza in un «romanzo fatto da noi».
La filosofia e la letteratura di questo periodo sono così all’origine di lucide fenomenologie della «crisi mondiale» e di suggestivi progetti di emancipazione individuale e collettiva. Avanzano ardite proposte per rendere più tollerabile e meno banale la vita «offerta e permessa» e circostanziati programmi di fuoriuscita dai molteplici e successivi involucri che fasciano strettamente l’individuo proprio mentre lo plasmano (e che gli appaiono perciò, nello stesso tempo, soffocanti e protettivi, «carcere» e «santuario» insieme): dall’identità personale, dal mondo interiore, dalla casa, dallo Stato, dall’economia e dalla storia. Accanto a scenari idillici ed eroici – che dipingono la serena o stoica segregazione di ciascuno all’interno di queste sfere trasformate in fortezze e in trincee –, si elaborano potenti drammaturgie concettuali, che incitano intere generazioni a un esodo nel tempo da una realtà ormai condannata, in cui «tutto va in frantumi e vacilla», verso un «mondo nuovo», cui si deve giungere per rischiosi e ancora inesplorati percorsi.
Questa cultura – cui dobbiamo l’edificazione di mirabili architetture di sapere, la straordinaria estensione della gamma dei sentimenti, la cristallizzazione di categorie, moduli espressivi e metafore integrate ormai nel nostro patrimonio – rivela anche, e con altrettanta virulenza, i primi, vistosi sintomi della «patologia del moderno». Essi si manifestano nel rifiuto, nella delusione e nel risentimento nei confronti di questo «mondo nuovo» postrivoluzionario, scosso dall’incertezza generata da interminabili metamorfosi, sconvolto dalla guerra e dalla sistematica, violenta distruzione dei «piccoli mondi», vulnerabile nei suoi equilibri, esposto ai contraccolpi di eventi remoti o agli effetti di cause inappariscenti. Da qui l’inconsapevole bisogno di affidarsi a personalità eccezionali o a potenze anonime e oscure da parte di uomini che avrebbero dovuto, kantianamente, essere già pervenuti, con l’Illuminismo, all’età della ragione. Uno dei segni distintivi di questo crescente disagio è dato dal finale abbandono, a cominciare da Schopenhauer, dei prometeici programmi di crescita «piramidale» del singolo che hanno caratterizzato quest’epoca. Il fallimento degli sforzi per legittimare la coscienza sul suo terreno conduce, infatti, al parallelo indebolirsi del principio di individuazione, al propagarsi del pathos per l’alterità ospitata dal soggetto e al progressivo ridursi dell’io a voce estranea, da noi solamente ospitata.
Questa tendenza culmina nella cultura filosofica e psicoanalitica del Novecento, specie in quella dei suoi ultimi decenni, quando si afferma la tendenza a sdrammatizzare o a ottundere la consapevolezza dei conflitti e si immaginano e si creano confortevoli nicchie per persone ed élite che si vogliono plurime,«liquide», modularmente componibili e scomponibili, aggrappate al now e talvolta fedeli alla parola d’ordine del no future. Oggi, da quando le condizioni di esistenza sono diventate più difficili e le “contraddizioni” più evidenti, molti comin-
Illustrazione di Lorenzo Mattotti ciano a rendersi conto del fatto che la realtà e l’individualità contemporanee sono meno «liquide» e plasmabili di quanto prima si ritenesse (riemergono, semmai, le resistenze e le rigidità, in precedenza dimenticate o ignorate).
Ciò è accaduto anche perché eravamo baldanzosamente convinti di poter essere noi a fare e governare la storia, mentre ora abbiamo l’oscura impressione di trovarla già fatta e sorge, anzi, in molti il sospetto che si viva addirittura in un’epoca di destoricizzazione, in cui gli eventi sono privi di forti nessi intrinseci. Proprio a causa della perdita di visibilità dei principali punti di riferimento precedenti e dell’avanzata disgregazione del sentire comune, l’allentamento o la dissoluzione dei trascorsi vincoli psichici e sociali provoca il disorientamento d’individui e d’intere comunità. Anche sotto questo profilo, il confronto con il passato qui descritto può contribuire a ripensare anche il nostro presente.
Questo brano è una presentazione della nuova edizione del libro del nostro collaboratore Remo Bodei Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno , in uscita per il Mulino, Bologna, pagg. 448, € 30