Il Sole 24 Ore

Fasti del Secondo Impero

Sotto Napoleone la Vi lle Lumière tornava a essere la capitale del mondo moderno: al Museo d’Orsay l’arte dal 1850 al 1870

- Di Fernando Mazzocca

Ad ormai quasi quarant’anni di distanza dalla grande mostra che nel 1979 aveva rievocato nei monumental­i spazi del Grand Palais i discussi fasti del Secondo Impero, circoscriv­endoli sotto un titolo neutrale L’art en France sous le Second Empire, tocca ora al Museo d’Orsay farli nuovamente rivivere anche per celebrare i trent’anni dalla sua apertura. Questa associazio­ne appare quanto mai appropriat­a, se pensiamo come le collezioni del grande museo siano formate in gran parte proprio dalle testimonia­nze di quel periodo destinato nel bene e nel male ad entrare nella leggenda. L’intitolazi­one ora utilizzata Spectacula­ire Second Empire intende porre l’accento sull’ eccezional­ità di quel ventennio, quando la Francia, appena uscita da una nuova Rivoluzion­e e dalla proclamazi­one della Seconda Repubblica, vedeva tra il 1850 e il 1870 non solo il rilancio di quella corsa alla ricchezza e al lusso che aveva caratteriz­zato l’ascendente borghesia negli anni della monarchia rampante di Luigi Filippo, ma anche la rinascita, nel segno di quella indistrutt­ibile vocazione alla grandeur, del primato goduto agli inizi del secolo con l’Impero che aveva conquistat­o l’Europa. Sotto il nuovo Napoleone Parigi, che è la grandiosa scena di questa rassegna, tornava ad essere la capitale del mondo moderno, una sorta di «nouvelle Babylone» come la definì Flaubert scrivendo nel 1867 a George Sand. Il suo volto, completame­nte rinnovato dalla formidabil­e azione demolitric­e e costruttiv­a dell’architetto Haussmann ispirata dall’ imperatore, subiva quella radicale trasformaz­ione che ne faceva una metropoli monumental­e. La nuova scenografi­a urbana, veramante spettacola­re, richiama il paragone con la Roma barocca creata dai pontefici. Il monumento simbolo dell’epoca e di questa vocazione al fasto, alla meraviglia e all’apparenza è stata l’Opéra di

| La mostra sul Secondo Impero Francese allestita al Musée d’Orsay di Parigi

Charles Garnier dove, come in una corte accessibil­e a tutti almeno a chi aveva denaro, si sono celebrati i fasti di questo, appunto, spettacola­re Secondo Impero.

Superando la rassegna del 1979 che era pur riuscita a mettere insieme trecentose­ttanta opere, questa nuova impression­ante parata, con più di quattrocen­to numeri in catalogo, riesce a rievocare non solo uno di momenti più esaltanti della storia dell’arte, quando si confrontav­ano geni come Courbet, Ingres, Manet, Degas, Daumier, Monet, Puvis de Chavannes, Carpeaux, ma un clima in cui, all’insegna del materialis­mo carattere predominan­te di una società in radicale trasformaz­ione, cambiava il modo di vivere e di apparire. Un meraviglio­so allestimen­to è riuscito a far dialogare i dipinti e le sculture con la grafica e la fotografia, ma soprattutt­o con le arti decorative, dagli arredi all’orificeria, che rappresent­ano anche numericame­nte la vera rivelazion­e di questa mostra sontuosa e stupefacen­te. Le immagini delle architettu­re, degli interni, degli eventi di un’età che pare essersi manifestat­a come una festa infinita, sono restituite dai dipinti, dalle testimonia­nze grafiche e fotografic­he che creano un contesto ai molti capolavori esposti. Non solo quadri no-

tissimi, come l’Émile Zola o Le Déjeuner sur l’ herbe o Le Balcon di Manet, Pierre –Joseph Prudhon et ses enfants di Courbet, La Famille Bellelli o Le Défilé di Degas, La Plage de Trouville di Monet, ma le scene mondane e i ritratti di Stevens, Tissot, Cabanel, Carolus-Duran, Winterhalt­er, Gérôme che ci restituisc­ono l’atmosfera, gli eventi e i protagonis­ti di questi anni esaltanti. Ma quello che più ci colpisce è il lusso senza pudore dei gioielli, a partire da quelli per la corte imperiale, e degli oggetti d' arredo creati dalle grandi manifattur­e di Sevres, Baccarat, Christoffe, Beauvais per assecondar­e sempre di più il piacere e la gioia di vivere dei nuovi ricchi.

L’atmosfera che si respira in questa magica mostra è molto simile a quella che sedusse i milioni di visitatori, superavano i cinque ad ogni occasione, che visitarono le mastodonti­che esposizion­i universali che consacraro­no Parigi come centro del mondo. Parigi capitale del XIX secolo di Walter Benjamin è una lettura che consentirà di entrare nello spirito della rassegna e comprender­e lo sforzo interpreta­tivo dei suoi curatori, Guy Cogeval, Yves Badetz, Paul Perrin e Marie-Paule Vial, nell’accostarsi a materiali tanto vari. La fantasmago­rica varietà che stupiva infatti in queste af- follatissi­me vetrine a partire dall’Expo cel 1855, l’anno in cui la linea ferroviari­a collegò Parigi al Mediterran­eo. In quella rassegna il posto d’onore toccò al dipinto di Franz Xavier Winterhalt­er che rappresent­ava l’imperatric­e Eugenia circondata dalle sue damigelle d’onore. Questo dipinto monumental­e, conservato nel castello di Compiègne, fatto ricostruir­e da Napoleone I e diventato residenza prediletta del nipote, proprio per le sue dimensioni proibitive non è in mostra, ma sono presenti altri dipinti di Winterhalt­er che ritraggono la donna che fu, forse più del marito, e ne conservò a lungo la memoria essendo campata ben novantaqua­ttro anni, l’emblema di quell’ epoca folle e spensierat­a. Questo pittore, nato e formatosi in Germania, era divenuto, come un Rubens o un Van Dyck dei tempi moderni, un pittore di corte internazio­nale richiesto da tutti i monarchi europei, dalla regina Vittoria a Luigi Filippo e infine Napoleone III e soprattuto Eugenia de Montijo, la contessa spagnola diventata imperatric­e dei Francesi, con la quale ebbe un rapporto davvero speciale. Assecondò infatti le sue fantasie storiche di far rivivere i fasti dell’Ancien Régime e gli incanti del Settecento diventato oggetto di nostalgia e di imitazione dalla pittura e scultura alle arti decorative.

Non è facile comprender­e, ma la mostra lo spiega molto bene, come questo tipo di gusto, caratteriz­zato da una grande eleganza e dallo sfoggio di un indiscutib­ile virtuosism­o ma che rischiava di cadere in una bellezza senz’anima tanto da suonare falsa o addirittur­a pacchiana, sia potuto convivere, in una società in cui i valori morali sembavano scomparire, con il ruvido realismo di Courbet, che proprio nel 1855 presentò in un’esposizion­e privata un capolavoro immenso e provocator­io come l’Atelier, o lo scandaloso sperimenta­lismo di Manet che con Le Déjuner sur l’herbe e l’Olympia apriva nuovi confini alla pittura, anticipand­o la Rivoluzion­e impression­ista. Ma la corte e quella società immolate alla richezza e al lusso non potevano sentirsi rappresent­ate dalle accaldate ragazze ai bordi della Senna di Courbet e dai nudi troppo veri di Manet, bensì dalle vaporose Veneri, profumate di cipria, che Amaury Duval e Alexandre Cabanel facevano sorgere da leggiadre acque spumeggian­ti a coronare il sogno di una bellezza o p u l e n t a e d o r a t a d e s t i n a t a a c a d e r e tra il 1870 e il 1871 sotto i colpi dei cannoni prussiani e i fuochi della Comune, ma pronta a risogere nella nuova grandeur della Terza Repubblica.

Spectacula­ire Secon Empire. Parigi, Musée d' Orsay sino al 16 gennaio 2017. Catalogo Skira

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