Scheiwiller, passioni da editore
Èun omaggio affettuoso con amici, intellettuali, collaboratori che lo conobbero da vicino, gli vollero bene e lavorarono con lui. Ma, se fosse solo questo, non basterebbe. Infatti questo è un documentario fatto di «fatti»: e quei fatti si traducevano in libri, in idee, in passioni, in viaggi e, di nuovo, in circostanze conviviali, amicizia. Vita e arte: una felice commistione. Sono «fatti» di pagine, carta e anima, quelli con i quali si circumnaviga la figura e, soprattutto, l’opera di Vanni Scheiwiller (1934-1999),
nel documentario Per Vanni Scheiwiller - Piccolo grande editore (regia di Marco Poma, 50 minuti di interviste, tra cui alcune, rare, allo stesso Vanni, con la “sceneggiatura” di Laura Novati) che, dopo essere stato presentato in anteprima a Milano, sarà replicato il 17 a Perugia (ore 16, Aula II di Palazzo Manzoni) in una serata nella quale – presente la moglie di Vanni, l’artista polacca Alina Kalczynska – si riparlerà anche del libro Giovanni e Vanni Scheiwiller editori. Catalogo storico 1925-1999 (Unicopli) curato benissimo a suo tempo dalla stessa Laura Novati.
Bene. Al di là della retorica che lo ha circondato e nella quale è facile cadere (i “libri-farfalla”, i pesciolini d’oro...), e anche della sincera nostalgia per un editore
simile (e per i suoi libri, naturalmente: Scheiwiller manca anche a tutti quelli che, come me, mai lo conobbero di persona) è importante rimarcare l’aspetto culturale e solido del suo essere e fare l’editore. Un’idea nobilissima del far libri, al limite dell’«inutile» (sì, forse dal punto di vista del bilancio); ma utilissimo fu, il lavoro di scavo e di profezia di Vanni, per proporre voci insolite, libri raffinati, poeti meritevoli. Scheiwiller incarnava le ragioni della letteratura (si trattasse di difendere Pound o Pasolini o di pubblicare un catalogo di dialettali impressionante per qualità e compattezza), comprendeva quelle dell’arte (nell’arte era cresciuto, con Wildt accanto) ed eccelleva nell’esser libero; sempre così intelligente da farsi trasportare dalle sue passioni, prendessero la forma di un presepe polacco, di una grafica, di un luogo, che so, Matera o Otranto. Eleganza formale e rispetto del testo, piccoli formati o grandi collane della committenza bancaria, la curiosità per le mostre – per anni il suo «Taccuino», su queste stesse pagine, fu un baluginare di lampi di intelligenza e competenza, di gusto eccelso e sano snobismo senza paure – e per l’ambiente culturale, la passione per borghi e persone: Vanni era espressione di una borghesia lombarda consapevole che la sola nobiltà arrivava dalla cultura, e non dai soldi. Al contrario di oggi, quando non è raro vedere chi dimostra impunemente se non addirittura si vanta della propria ignoranza. In questo senso, il documentario (non ancora in vendita, si può richiederne copia a pagamento Metamorphosi Editrice) trasmette l’idea di un mondo che forse è definitivamente tramontato e di un’eredità intellettuale difficile da perseguire. Ma il suo insegnamento resta: si tratta della cura dell’intelligenza, del meticoloso lavoro – su e giù in treno per l’Italia, in cerca dell’ultimo poeta da pubblicare, dell’ultimo libraio da visitare – in controtendenza e in ombra. Si tratta dell’essere a caccia di meraviglie e di eccentricità, di gemme che nascono in sentieri poco battuti, di libri, e mostre, e opere da progettare e fare. Pochi sono eredi editoriali di Vanni (negli ultimi anni forse il solo Vincenzo Campo di Henry Beyle si è mosso in territori analoghi, perciò ne parlo così spesso): e invece dovremmo guardare, ancora, a lui. Nell’epoca del digitale e delle fesserie social, l’“esperienza” del libro e il libro come “esperienza”, il manufatto cartaceo, la lentezza, la profondità sono valori che riscopriremo. E quelli cui stare attaccati. E non per nostalgia del passato, ma per qualità del (nostro e altrui) futuro.