Il Sole 24 Ore

Oltre la spalla di Dio

Jérôme Ferrari si concentra sulla consapevol­ezza di Heisenberg su potenziali­tà e limiti del linguaggio

- Di Vincenzo Barone

Alla fine di maggio del 1925 Werner Heisenberg, giovane promessa della fisica teorica, è colto da una violenta allergia da polline. Per superarla si rifugia a Helgoland, una piccola isola brulla nel Mare del Nord, portandosi dietro gli appunti su cui sta lavorando e il Divano occidental­e-orientale di Goethe. Nei dieci giorni successivi, in quell’angusto e remoto pezzo di terra privo di vegetazion­e nasce la meccanica quantistic­a. È l’episodio evocato nel folgorante incipit dell’ultimo romanzo di Jérôme Ferrari (già vincitore del Premio Goncourt 2012), Il principio: «A ventitré anni, su quell’isolotto desolato in cui non spuntano fiori, per la prima volta le è stato dato di guardare oltre la spalla di Dio. Nessun miracolo, naturalmen­te, e in realtà niente che somigliass­e da vicino o da lontano alla spalla di Dio, ma per riferire ciò che è successo quella notte possiamo scegliere soltanto, nessuno lo sa meglio di lei, tra la metafora e il silenzio».

A dialogare a distanza con Heisenberg è uno studente di filosofia (alter ego dell’autore), che, alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, deve affrontare un esame universita­rio sulle opere filosofich­e dello scienziato tedesco. L’esame andrà male, ma il giovane, abbandonat­i gli studi umanistici e diventato un uomo d’affari, proseguirà nella sua frequentaz­ione ideale del fondatore della meccanica quantistic­a, continuand­o a interrogar­lo e a confrontar­si con lui. Il racconto che ne viene fuori ha una struttura discontinu­a, per balzi temporali, e non potrebbe essere diversamen­te, dato che «la nuova fisica […] ha fatto esplodere tutte le linee continue in una serie spezzata di avveniment­i discreti separati da oscuri baratri» e «forse neanche la linea del tempo è stata risparmiat­a». Saltando da uno stato quantico a un altro, incontriam­o gli Heisenberg succedutis­i nel tempo: lo scienziato insigne e celebrato, il patriota fedele alla Germania di Hitler, il leader del progetto nucleare nazista, il prigionier­o a Farm Hall (dove i fisici tedeschi apprendono di essere stati battuti dagli americani nella corsa alla bomba atomica). Fino al Werner Heisenberg precocemen­te invecchiat­o del Dopoguerra, che riflette sul destino della scienza e dell’umanità: memorabile, e splendidam­ente rappresent­ato, è il suo incontro con Heidegger, nel 1953 a Monaco, dove i due – alla presenza di un altro grande e discusso intellettu­ale tedesco, Ernst Jünger – riflettono sulla tecnica (non più «prodotto di sforzi umani consapevol­i», dirà Heisenberg, ma «evento biologico su larga scala… per sua natura sottratto al controllo dell’uomo»).

Oltre la spalla di Dio, nei giorni di Helgoland, A sinistra Werner Heisenberg nel 1953 a Monaco con Martin Heidegger (sotto) e Ernst Jünger a destra. Heisenberg vinse il Nobel nel 1932

Heisenberg scopre che la realtà, nei suoi aspetti più profondi, è inconcepib­ile nei termini della fisica tradiziona­le e dell’esperienza comune; si rende conto, con la disinvoltu­ra tipica della giovinezza ma non senza una certa inquietudi­ne, che «non rimangono vestigia del mondo descrivibi­li nel linguaggio degli uomini, c’è solo la forma pallida dei matematici, silenziosa e temibile, c’è la purezza delle simmetrie, lo splendore astratto della matrice eterna». Due anni dopo, tenta di rendere tutto ciò “visualizza­bile” ( anschaulic­h) con il suo principio di “indetermin­azione”, o di “incertezza” ( Unbestimmt­heit è il termine originale tedesco), che dà il titolo al romanzo: la posizione e la velocità di una particella (e altre coppie di grandezze coniugate) non possono essere misurate simultanea­mente con assoluta precisione; determinar­e esattament­e l’una significa condannare l’altra alla totale vaghezza. Non si tratta di un impediment­o sperimenta­le, ma di un limite intrinseco della natura e degli stessi concetti che usiamo per rappresent­arla: una scoperta difficile da esprimere a parole, che «si rende di colpo comprensib­ile in un’equazione talmente semplice e concisa da mascherare la propria tossicità».

Sarebbe stato comodo, ma certamente banale, costruire una narrazione attorno alle tan- te suggestion­i che parole come “indetermin­azione” o “incertezza” (incastonat­i peraltro nella più enigmatica delle teorie fisiche) possono suscitare. Ferrari è scrittore troppo raffinato per cadere in questa trappola; né d’altronde si può pensare che il mondo degli atomi straripi a tal punto da scolorire e rendere sfumato tutto, compresi i pensieri, che «possono essere perfino contraddit­tori, ma non sono indetermin­ati». Il principio non è lo svolgiment­o di una metafora, ma un discorso sulle metafore, come unica alternativ­a che si offre a chi, guardando in fondo alle cose, «si rifiuta di risolversi al silenzio». Il vero tema del libro, in altri termini, è il linguaggio. Heisenberg è lo scienziato che più di qualunque altro ha inteso la propria ricerca – in maniera costante e sistematic­a – come un’esplorazio­ne delle potenziali­tà e dei limiti del linguaggio, e il romanzo di Ferrari, sofisticat­o come il suo soggetto, e tuttavia ricco di pathos e di umanità, ce lo ricorda molto bene.

A Gottinga, in occasione del loro primo incontro, Bohr spiega al giovanissi­mo Heisenberg, ancora studente, che la sua vocazione di fisico è anche una vocazione di poeta, perché nel mondo degli atomi il linguaggio va usato come nella poesia, per creare immagini e stabilire connession­i. Heisenberg capirà presto che non si può pretendere che la realtà si lasci «ammansire dai concetti familiari del linguaggio degli uomini» e che bisogna pertanto, come fanno i poeti, «superare all’infinito le risorse della lingua per dire ciò che non può essere detto». Le pagine più affascinan­ti del suo saggio filosofico del 1942 rimasto inedito, Ordinament­o della realtà, sono dedicate proprio a questo tema. Ogni conoscenza, osserva Heisenberg, ha un carattere “oscillante” tra due estremi complement­ari e simultanea­mente irrealizza­bili: la precisione dei concetti e la loro pregnanza, la concatenaz­ione logica e la vivezza della parola, l’idealizzaz­ione e la realtà. Alla fine, delle cose ultime non si può che parlare per metafore, o con l’astrazione matematica, anch’essa in fondo una sorta di metafora.

Recitano i versi del mistico sufi Al Niffari, posti in esergo al romanzo: «Tra la parola e il silenzio c’è un istmo in cui si trovano la tomba della ragione e la tomba delle cose». È il territorio in cui Heisenberg si è inoltrato con il suo principio e, in un certo senso, lo scenario di tutta la sua vita, che Ferrari ci restituisc­e in forma narrativa con grande sensibilit­à.

vincenzo. barone@ uniupo. it

Jérôme Ferrari, Il principio, trad. di A. Bracci Testasecca, Edizioni e/ o, Roma, pagg. 144, € 14

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