La trincea dei banchieri centrali sotto attacco
Itre più i mportanti banchieri centrali dei Paesi avanzati – Mario Draghi, Janet Yellen e Mark Carney – sono in trincea, oggetto sempre più di frequente di attacchi da parte dei politici, Schäuble, ma non solo, in Europa, Trump negli Stati Uniti, May nel Regno Unito.
Nell’odierno essere in trincea dei banchieri centrali c’è qualcosa di antico, ma anche di nuovo. È antico il fatto che al politico, almeno negli ultimi tre decenni, il banchiere centrale fa comodo quando gli serve una burocrazia indipendente per risolvere problemi che è politicamente costoso affrontare (un’alta inflazione, una crisi finanziaria), ma appena può cerca di condizionarne i comportamenti a suo favore. Di nuovo, dopo la Crisi, c’è il fatto che i maggiori poteri attribuiti opportunisticamente alle banche centrali dai politici possono divenire il cavallo di Troia che i politici stessi vogliono utilizzare per ridurre l’autonomia della politica monetaria a proprio vantaggio, ma con maggiori rischi per l’economia e i mercati.
Da qualche tempo le cronache monetarie e finanziarie si sono intrecciate con quelle politiche su un aspetto molto specifico: gli attacchi da parte dei politici alla condotta dei banchieri centrali.
Avviene sistematicamente in Europa, ove la condotta della Banca centrale europea (Bce) è sottoposta alle critiche sia delle colombe che vorrebbero una politica monetaria più aggressiva, sia all’opposto dei falchi che ritengono che l’espansione monetaria sia durata anche troppo, accumulando rischi – latenti ma sempre più ingenti – di instabilità monetaria e finanziaria.
Avviene anche negli Stati Uniti: la Banca centrale (Fed) ha continuato in questi mesi a posticipare – ma non ad escludere – la normalizzazione del profilo dei tassi di interesse, finora schiacciati sullo zero. Tale condotta ambigua ha finito per scontentare tutti.
Contrariati i Democratici – soprattutto i più radicali – convinti che la ripresa americana sia ancora acerba, quindi desiderosi di mantenere l’atteggiamento ultra espansivo; critici i Repubblicani – a partire dal presidente eletto Trump – che hanno visto nel mantenimento dell'alta liquidità un favore politico all’amministrazione uscente, nonché un segnale di eccesso di autoreferenzialità nella condotta della Yellen.
Non se la passa meglio il governatore della Banca centrale inglese: i Leavers hanno giudicato e giudicano la sua condotta partigiana, prima e dopo l'esito del referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, in quanto orientata, con i fatti e con le parole, ad accentuare i costi - attesi prima e prevedibili poi – della cosiddetta Brexit.
Dunque i banchieri centrali sono in trincea. Questa non è una novità, ma l'effetto strutturale che deve di tanto in tanto subire chi dirige una burocrazia che per i politici è al contempo utile, ma scomoda. Perché infatti, a partire dagli anni ottanta, i politici delle economie avanzate – ma non solo – hanno deciso di delegare la gestione della politica monetaria a delle burocrazie indipendenti, appunto le banche centrali? La ragione è sempre la stessa: convenienza politica. Il politico disegna le regole in modo da delegare le politiche economiche che possono essere politicamente costose, senza essere – sempre politicamente - particolarmente vantaggiose.
La politica monetaria è l'esempio più eclatante. Fino agli anni settanta, per i politici era politicamente conveniente tenere sotto il proprio controllo la creazione di moneta: era uno strumento di tassazione, grazie all'inflazione, robusto e politicamente conveniente. Quando però è divenuto uno strumento inefficace – aumentava l'inflazione senza che la crescita economica e la gestione del debito ne traessero giovamento – politicamente scomodo – di chi è la colpa dell'inflazione? - e tecnicamente sempre più complesso, i politici hanno fatto un passo indietro, delegando la politica 7 Qe, o allentamento quantitativo, è un programma di acquisto di titoli intrapreso negli ultimi anni da molte banche centrali. Quello della Banca centrale europea è ancora in corso e alla riunione del consiglio direttivo dell’8 dicembre potrebbe essere deciso un prolungamento oltre la sua naturale scadenza, fissata al marzo dell’anno prossimo. La decisione sarà presa sulla base delle nuove previsioni Bce su crescita e inflazione. monetaria ai banchieri centrali. Il passo indietro è durato trenta anni.
La Crisi ha modificato le convenienze politiche. Durante la Crisi, occorreva che qualcuno si assumesse la responsabilità di evitare che le turbolenze finanziarie e bancarie producessero danni economici profondi ed irreversibili. Un ruolo difficile e politicamente molto scomodo: ai politici non è sembrato vero avere a disposizione una burocrazia, di solito competente e credibile, a cui delegare la gestione e la tutela della stabilità finanziaria, oltre a quella – già acquisita – della stabilità monetaria.
La Crisi ha superato il suo punto più profondo, ma la ripresa economica appare dappertutto ancora fragile e reversibile. E dappertutto i politici continuano a cercare gli strumenti di intervento politicamente più convenienti. Ed ecco che i banchieri centrali tornano nel mirino, anche a causa dell'accresciuto perimetro di intervento che nella Crisi i politici hanno loro chiesto – o acconsentito – di occupare. E' un caso emblematico di maledizione del vincitore: durante la Crisi i banchieri centrali hanno visto aumentare i loro poteri, ma questo indebolisce la loro posizione. L'aumento dei poteri ha reso l'azione dei banchieri centrali sempre più vicina a quella di due politiche economiche che ai politici interessano molto: la politica fiscale e la redistribuzione del reddito. In Europa, l'aver attribuito alla BCE responsabilità di vigilanza non ne ha certo rafforzato la posizione; lo stesso può dirsi per la Fed e la Banca d'Inghilterra. I banchieri centrali hanno una sola autodifesa: legarsi le mani con regole coerenti con i propri mandati istituzionali. Draghi lo ha capito fin dall'inizio, Carney in parte, la Yellen per nulla.
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