Mps, il cda chiede alla Bce una proroga fino a gennaio per l’aumento di capitale
Titolo ancora in r ialzo: +10,8% - Aperture della Vestager al rimborso dei bondholder Il cda domanda una proroga al 20 gennaio, ma l’ok non c’è ancora
Luca Davi, Gianni Trovati, Giorgio Santilli
u pagine 25 e 27
Il Monte dei Paschi chiede più tempo alla Bce per chiudere l’aumento da 5 miliardi di euro. Il cda dell’istituto ha infatti inviato una lettera a Francoforte chiedendo di poter far slittare al 20 gennaio il termine per la ricapitalizzazione, che si sarebbe dovuta completare entro la fine di dicembre. La decisione è stata presa dopo un confronto con gli advisor Mediobanca e Jp Morgan, capofila del consorzio che dovrebbe garantire l’aumento, nel corso del quale le banche hanno rappresentato l’impossibilità di procedere con l’operazione senza un quadro politico chiaro e un governo in carica.
Tutto questo mentre si continua a lavorare a un «Piano B» pubblico attraverso un ombrello statale che si dovrebbe aprire sul capitale del Monte dei Paschi in caso di stop alla «soluzione di mercato» e che guarderà prima di tutto alle obbligazioni subordinate. A questo proposito, e pur senza entrare nello specifico di Mps, la commissaria all'Antitrust europeo Margrethe Vestager ha indicato che ci sono «diversi strumenti per l’intervento dei governi sulle banche, comprese le compensazioni per la vendita impropria di bond».
Il titolo ha strappato in rialzo a Piazza Affari, guadagnando il 10,8%.
pMentre a Roma si lavora alla definizione di una soluzione pubblica per Mps, la banca prova a guadagnare tempo con la Bce, e chiede ufficialmente uno slittamento di una ventina di giorni rispetto al termine ultimo per la ricapitalizzazione, fissato inizialmente al 31 dicembre.
Come atteso, la banca ha comunicato ieri di aver richiesto una proroga fino al 20 gennaio prossimo dell’autorizzazione per concludere l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro. Ad annunciarlo è stata la stessa banca in una nota emessa al termine di un Cda durato oltre cinque ore: in una comunicazione asciutta l’istituto motiva la richiesta evidenziando il «mutato contesto di riferimento» a valle del referendum e lo scoppio della crisi di governo.
La vittoria del no al referendum di domenica scorsa, le conseguenti dimissioni di Matteo Renzi e l’incertezza politica che ne è scaturita, sono un mix di fattori che hanno fatto traballare di colpo l’intera impalcatura studiata da Jp Morgan e Mediobanca per ricapitalizzare la banca con 5 miliardi di capitali privati. L’indeterminatezza del contesto politico e l’assenza di un interlocutore chiaro al Governo avrebbe infatti dissuaso i cosiddetti anchor investor, dal fondo del Qatar ai fondi americani, a imbarcarsi nel progetto Siena. Va detto che il cosiddetto piano “A” formalmente rimane in piedi, visto che il fondo sovrano del Qatar non si è ancora chiamato ufficialmente fuori dal potenziale apporto di un miliardo. E di conseguenza, sempre in teoria, a non è essere del tutto decaduta è anche la garanzia del consorzio delle banche d’affari. A favore di una way out privata si è espresso ieri peraltro anche Carlo Messina, numero uno di Intesa Sanpaolo, che ha dichiarato che «occorre lavorare per trovare una soluzione di mercato a Banca Mps». Del resto, ha sottolineato il manager, ciò «è possibile, una volta che la banca sia stata ripulita delle elevate sofferenze».
Vero è che nessuno in questa fase vuole vedersi addebitata la responsabilità di dichiarare decaduto l’intero progetto di ricapitalizzazione. Per questo la concessione di qualche giorno in più da parte della Bce potrebbe servire, una volta chiarito il quadro politico, quanto meno a ribussare a Qatar e soci e a ritara- re i tempi dell’aumento di capitale che, ipoteticamente, scatterebbe nel nuovo anno per chiudersi entro il 20 gennaio.
Questo almeno in teoria. Perchè non è escluso che a fronte della richiesta avanzata dalla banca - che nei giorni scorsi è stata anticipata ad alcuni funzionari del Single Supervisory Board - la Bce si metta di traverso. Il dossier sarà esaminato tra oggi e domani dal Supervisory Board presieduto da Danièle Nouy. Ma se da Francoforte arrivasse l’input di un rigido rispetto dei tempi concessi a fine novembre, per Siena - il cui titolo ieri è salito del 10,8% - non ci sarebbero altre soluzioni che quella di una ricapitalizzazione pubblica, vista l’assenza di investitori privati al momento. Tutto si farà più chiaro nelle prossime ore, e già per domani è convocato un incontro tra gli advisor del Monte, JpMorgan e Mediobanca, e le banche del consorzio per fare il punto della situazione.
L’eventuale bocciatura della proroga da parte degli ispettori della Bce come detto spalancherebbe le porte all’intervento «precauzionale» da parte dello Stato, che può essere attivato secondo l’articolo 32 della direttiva Brrd. L’architettura del piano è in elaborazione (si veda articolo sotto) e non è detto che l’attuazione sia immediata. L’ipotesi di massima prevede la conversione in azioni degli strumenti subordinati in mano agli investitori. Resta da capire d’altra parte come “salvare” il pubblico retail dall’operazione. Soprattutto alla luce del fatto che i piccoli risparmiatori - che oggi hanno in mano oltre 2 miliardi di euro di bond subordinati con cui è stata finanziata l’acquisizione di Antonveneta- hanno comprato i bond allo sportello senza l’adeguata informativa. Da qua l’attenzione al tema da parte di Roma, che è da tempo in colloqui con Bruxelles. La commissaria all’Antitrust europeo Margrethe Vestager, pur non commentando sul caso Montepaschi, ieri ha risposto a una domanda relativa a un intervento dello Stato a tutela di ordinari cittadini detentori di bond attraverso un acquisto dei titoli. «Posso in generale dire che possiamo trovare un certo numero di strumenti» per fronteggiare situazioni del genere, ha detto Vestager, che ha aggiunto che «abbiamo lavorato e siamo pronti a lavorare con il governo se si vogliono definire schemi per compensare gli obbligazionisti se c’è stata una vendita fraudolenta (misselling) ng)» di titoli.
L’ANTITRUST UE Vestager: «Diversi strumenti per l’intervento dei governi sulle banche. Comprese le compensazioni per la vendita impropria di bond»
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