La partita a scacchi sul voto anticipato
L’obiettivo di Renzi è “controllare” la data del voto. Che lui vuole in primavera. Sa che è impossibile senza riformare la legge elettorale ma teme che un nuovo governo gli sfili dalle mani il pallino. Si apre una partita a scacchi dall’esito non scontato soprattutto con il Pd che lui deve tenere compatto. Decisivo sarà il rapporto con il Colle.
La prima giornata di consultazioni al Quirinale si aprirà con una serie di posizioni più tattiche che sostanziali. Alla direzione del Pd di ieri ha parlato solo Renzi e ha messo sul tavolo la posizione di “ingresso” del partito: un nuovo Governo istituzionale con tutti oppure il voto dopo che la Consulta si sarà pronunciata sull’Italicum. È chiaro che è solo l’inizio della partita. Un modo per mostrare che le opposizioni vogliono le elezioni e che nessuno accetterà di sostenere un Esecutivo allargato. I 5 Stelle, la Lega, hanno già chiamato la piazza, puntano l’indice sui parlamentari che aspettano settembre per incassare la pensione che si matura solo dopo 4 anni e sei mesi di legislatura. Insomma, la pressione esterna ed interna per andare a votare è già molto forte. E questa forza Renzi la vuole usare a suo vantaggio per non perdere il pallino della crisi. E soprattutto per poter determinare la data del voto che lui vuole sia in primavera.
Il suo istinto gli dice che se perde il treno e se la legislatura arriva al 2018, con un Governo politico senza di lui, la sua battaglia è finita. A quel punto il Pd si riorganizzerà contando sul fatto che un nuovo sistema elettorale proporzionale non necessita più di leadership com- petitive. Questo scenario è quello che teme, è il suo nemico. E dunque lo combatte. Ma per sostenere la battaglia ha bisogno che il partito sia unito con lui. E la condizione imprescindibile è il rapporto con il Colle.
In poche parole, Renzi non si può permettere le frizioni avute nei giorni scorsi con il Quirinale. Non può fare forzature perché nella scelta tra lui e Mattarella, nel Pd, prevale il richiamo verso un profilo istituzionale e verso soluzioni più ponderate e non le avventure di un voto a febbraio di cui aveva parlato nelle prime ore della crisi. E infatti, ieri, c’è stata una sua parziale marcia indietro. Al Colle ha ritro- vato un clima disteso con il capo dello Stato, ha sanato gli equivoci, si è mostrato più aperto all’ipotesi di un governo di scopo per fare una nuova legge elettorale e guidato da un nome di suo gradimento.
Fin qui siamo ai suoi calcoli di leader che, tra tutti gli scenari, continua a preferire quello di restare in sella ed essere lui a gestire il Governo dimissionario fino alla legge elettorale. Si vedrà. Le carte ancora coperte sono - però - quelle delle correnti del Pd. Man mano che le consultazioni andranno avanti saranno svelate ma più Renzi terrà forte l’interlocuzione con il Colle più eserciterà la sua leadership nel partito. Tra l’altro ieri nel suo discorso in direzione ha sostenuto l’alleanza lanciata da Giuliano Pisapia: un passaggio voluto per indicare uno schema politico che parla a quell’area di sinistra del Pd. E soprattutto un avvertimento alla minoranza per dire che una sinistra alternativa a quella di Bersani c’è: è la sinistra del “sì” di Pisapia e Zedda. La partita è appena cominciata.
1.019
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