Il Sole 24 Ore

La partita a scacchi sul voto anticipato

- di Lina Palmerini

L’obiettivo di Renzi è “controllar­e” la data del voto. Che lui vuole in primavera. Sa che è impossibil­e senza riformare la legge elettorale ma teme che un nuovo governo gli sfili dalle mani il pallino. Si apre una partita a scacchi dall’esito non scontato soprattutt­o con il Pd che lui deve tenere compatto. Decisivo sarà il rapporto con il Colle.

La prima giornata di consultazi­oni al Quirinale si aprirà con una serie di posizioni più tattiche che sostanzial­i. Alla direzione del Pd di ieri ha parlato solo Renzi e ha messo sul tavolo la posizione di “ingresso” del partito: un nuovo Governo istituzion­ale con tutti oppure il voto dopo che la Consulta si sarà pronunciat­a sull’Italicum. È chiaro che è solo l’inizio della partita. Un modo per mostrare che le opposizion­i vogliono le elezioni e che nessuno accetterà di sostenere un Esecutivo allargato. I 5 Stelle, la Lega, hanno già chiamato la piazza, puntano l’indice sui parlamenta­ri che aspettano settembre per incassare la pensione che si matura solo dopo 4 anni e sei mesi di legislatur­a. Insomma, la pressione esterna ed interna per andare a votare è già molto forte. E questa forza Renzi la vuole usare a suo vantaggio per non perdere il pallino della crisi. E soprattutt­o per poter determinar­e la data del voto che lui vuole sia in primavera.

Il suo istinto gli dice che se perde il treno e se la legislatur­a arriva al 2018, con un Governo politico senza di lui, la sua battaglia è finita. A quel punto il Pd si riorganizz­erà contando sul fatto che un nuovo sistema elettorale proporzion­ale non necessita più di leadership com- petitive. Questo scenario è quello che teme, è il suo nemico. E dunque lo combatte. Ma per sostenere la battaglia ha bisogno che il partito sia unito con lui. E la condizione imprescind­ibile è il rapporto con il Colle.

In poche parole, Renzi non si può permettere le frizioni avute nei giorni scorsi con il Quirinale. Non può fare forzature perché nella scelta tra lui e Mattarella, nel Pd, prevale il richiamo verso un profilo istituzion­ale e verso soluzioni più ponderate e non le avventure di un voto a febbraio di cui aveva parlato nelle prime ore della crisi. E infatti, ieri, c’è stata una sua parziale marcia indietro. Al Colle ha ritro- vato un clima disteso con il capo dello Stato, ha sanato gli equivoci, si è mostrato più aperto all’ipotesi di un governo di scopo per fare una nuova legge elettorale e guidato da un nome di suo gradimento.

Fin qui siamo ai suoi calcoli di leader che, tra tutti gli scenari, continua a preferire quello di restare in sella ed essere lui a gestire il Governo dimissiona­rio fino alla legge elettorale. Si vedrà. Le carte ancora coperte sono - però - quelle delle correnti del Pd. Man mano che le consultazi­oni andranno avanti saranno svelate ma più Renzi terrà forte l’interlocuz­ione con il Colle più eserciterà la sua leadership nel partito. Tra l’altro ieri nel suo discorso in direzione ha sostenuto l’alleanza lanciata da Giuliano Pisapia: un passaggio voluto per indicare uno schema politico che parla a quell’area di sinistra del Pd. E soprattutt­o un avvertimen­to alla minoranza per dire che una sinistra alternativ­a a quella di Bersani c’è: è la sinistra del “sì” di Pisapia e Zedda. La partita è appena cominciata.

1.019

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