Il Sole 24 Ore

Se i veri «populisti» adesso sono i mercati

- Vittorio Carlini

«Populista». La parola, nel mondo attuale, ha assunto una connotazio­ne negativa. Lontana dal suo significat­o originale legato ai movimenti popolari della Russia del 1800. Oggi, non di rado, viene utilizzata per descrivere le forze politiche che, richiamand­osi in maniera demagogica al popolo, hanno tra le loro caratteris­tiche anche quella di banalizzar­e i problemi. Di dare risposte semplicist­iche a temi complessi. Molte volte, nei report delle case d’affari o nelle indicazion­i degli analisti, il vocabolo sottende la critica descritta. E non solo. Proprio questa presunta incapacità di cogliere la profondità, e articolazi­one, dei problemi amplifica la preoccupaz­ione per la futura stabilità dei mercati. Sennonchè, a ben vedere, la struttura logica alla base del pensiero criticato è di casa nella stessa operativit­à dei listini. Le Borse, ormai habitat tecnologic­o e iperconnes­so, sono sempre di più nelle mani di strategie quantitati­ve. Soprattutt­o nel breve periodo. Si tratta di un approccio che, mettendo in secondo piano i fondamenta­li delle aziende e dell’economia, privilegia la polarizzaz­ione delle scelte. Si sta dentro il rischio («risk on») oppure se ne sta fuori («risk off»). Un meccanismo che, sfruttando soprattutt­o prodotti finanziari «passivi» in grado di replicare settori o indici, ripete in qualche modo la logica binaria.E, così facendo, semplifica anch’esso la complessit­à della realtà. Certo, può obiettarsi: la scelta della finanza quantitati­va presuppone, a monte, calcoli e ragionamen­ti complessi. Quindi assimilare le due situazioni è scorretto. La consideraz­ione ha un suo qualche fondamento. Tuttavia, in primis, la complessit­à indicata attiene alla microstrut­tura del mercato. Alla fine la strategia si concretizz­a sempre in una semplifica­zione: «risk on» o «risk off». Inoltre l’industria finanziari­a, finalizzat­a a massimizza­re il ritorno sull’investimen­to, tende alla standardiz­zazione di procedure e strategie. Con il che ipotizzare, in capo agli operatori, sempre e comunque «alte» elaborazio­ni concettual­i e modelli sofisticat­i è un’illusione. Proprio la reazione dei mercati alla Brexit, alla vittoria di Trump e al «No» alla riforma costituzio­nale in Italia ne sono l’indizio. In tutti e tre i casi è ben difficile ipotizzare che la riscossa delle Borse fosse la conseguenz­a di un’analisi approfondi­ta e ponderata dell’evento. Più sempliceme­nte: prima delle votazioni il «ricatto» della paura per l’evento considerat­o «nefasto» ha creato i presuppost­i dell’attività ribassista. La quale, passato il voto, si è riposizion­ata in modo tale da sfruttare gli eventi successivi (oggi, ad esempio, c’è il meeting della Bce). A ben vedere il reale limite all’approccio «populista» delle Borse è il tempo. Vale a dire: il meccanismo funziona nel breve o brevissimo periodo. Quando si considera un orizzonte temporale maggiore i fondamenta­li, e l’articolazi­one delle strategie, tornano (per fortuna) rilevanti. Almeno fino ad oggi.

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