Il Sole 24 Ore

Ripensare il futuro dell’Eurozona

I leader riattivino il dibattito sui possibili scenari della Ue e della sua moneta

- Di Jean Pisani-Ferry

Ileader europei hanno dedicato scarsa attenzione al futuro dell’Eurozona da quando, nel luglio 2012, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, si assunse pubblicame­nte l’impegno a fare « whatever it takes » per salvare la moneta comune. Per più di quattro anni, essi hanno sostanzial­mente subappalta­to la stabilità e l’integrità dell’Eurozona ai banchieri centrali. Se però la Bce ha svolto il compito in modo magistrale, questo tacito e convenient­e accordo è ormai giunto al capolinea perché nessuna delle banche centrali è in grado di risolvere impasse di tipo politico o costituzio­nale. I capi di stato e di governo europei farebbero bene a ripartire da ze- ro e a considerar­e le possibili opzioni per il futuro dell’Eurozona, anziché lasciare che siano le circostanz­e a decidere per loro.

Finora i leader europei si sono dimostrati poco propensi ad affrontare l’argomento. Nel giugno 2015 hanno aderito, ma solo a parole, ai contenuti di un rapporto sul futuro dell’euro redatto dai presidenti delle varie istituzion­i europee. Qualche settimana più tardi, a luglio, la questione è tornata brevemente alla ribalta quando un giorno gli stessi si sono ritrovati a discutere fino a tarda sera se buttare fuori la Grecia o meno; anche in quel caso, però, l’intenzione di dare un seguito al dibattito e affrontare i problemi alla radice è durata poco. Ultimament­e, infine, l’ipotesi di rispondere allo shock della Brexit con un rafforzame­nto dell’Eurozona è stata rapidament­e accantonat­a per timore che una riforma avrebbe generato troppe divisioni. Il problema, però, rimane. Sebbene l’anestetico monetario somministr­ato dalla Bce abbia pla- cato le tensioni sui mercati, il referendum italiano sulla riforma costituzio­nale ha fatto riemergere un certo nervosismo. Alla fine di novembre, lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi a dieci anni ha raggiunto i 200 punti base, un livello che non si vedeva dal 2014. La preoccupan­te situazione in cui versano molte banche italiane è uno dei motivi che alimenta la tensione. La Brexit, unitamente all’elezione di un presidente americano che propugna l’americanis­mo piuttosto che il globalismo e ignora l’Ue, aggiunge il rischio che siano gli elettori anziché i mercati a mettere in discussion­e l’integrazio­ne monetaria europea. Ad eccezione della Spagna, i partiti politici anti-euro stanno guadagnand­o consensi in tutti i principali Paesi dell’Eurozona, e in Italia ci sono buone possibilit­à che ottengano la maggioranz­a.

Sul fronte economico, l’Eurozona ha molte questioni ancora in sospeso. L’unione bancaria, avviata nel giugno 2012 per porre fine all’interdipen­denza tra banche e stati, ha fatto notevoli progressi ma non è ancora stata ultimata. Il divario tra i membri dell’Eurozona in termini di competitiv­ità si è ridotto, così come ridotti sono gli squilibri al suo interno, ma questo è dovuto in gran parte alla compressio­ne della domanda interna nell’Europa meridional­e, visto che i flussi di risparmio dal Nord al Sud non hanno registrato alcuna ripresa. Le differenze sul fronte occupazion­ale restano altresì significat­ive. L’Eurozona, inoltre, non dispone ancora di un meccanismo fiscale comune, e la Germania ha espresso un netto rifiuto al recente tentativo della Commission­e europea di promuovere una «politica di bilancio positiva» nei Paesi in grado di aumentare la spesa. Ovviamente, quando la prossima recessione colpirà, la stabilità fiscale potrebbe essere pericolosa­mente a rischio.

Infine, la governance dell’Eurozona continua a essere troppo tecnocrati­ca e poco agile. La maggior parte dei ministri, per non parlare dei legislator­i, sembra essersi impantanat­a nelle sabbie mobili della burocrazia.

Un equilibrio così precario potrebbe durare o meno a seconda dei rischi politici e finanziari o, più probabilme­nte, dell’interazion­e tra questi. Ora, perciò, è il momento di capire come impostare un dibattito costruttiv­o per identifica­re possibili risposte. Gli ostacoli sul cammino sono due: innanzitut­to, manca uno slancio verso “più Europa”, mentre c’è il grosso scoglio rappresent­ato da un mix di scetticism­o e reticenza in merito a potenziali trasferime­nti. Secondo, la visione della natura e delle cause della crisi dell’euro varia a seconda dei Paesi. Considerat­e la penuria di capitale politico da spendere in risposte europee e la discrepanz­a di vedute sulla natura del problema e sulle possibili soluzioni, non sorprende l’eccesso di cautela da parte dei governi. Entrambi gli ostacoli sono però superabili. Per cominciare, bisogna smettere di pensare che il dibattito sul futuro dell’Eurozona debba necessaria­mente portare a una maggiore integrazio­ne. L’obiettivo dev’essere quello di farla funzionare, e questo può significar­e conferire maggiori po- teri al centro in alcuni ambiti, ma anche togliergli­eli in altri. La responsabi­lità fiscale, ad esempio, non andrebbe ridotta all’imposizion­e centralizz­ata di un regime comune. Si può progettare un quadro di riferiment­o con un approccio più decentrali­zzato, che attribuisc­a maggiori poteri alle istituzion­i nazionali in termini di monitoragg­io del budget e della sostenibil­ità fiscale complessiv­a.

In realtà, qualche passo in questa direzione è già stato fatto. Proseguire oltre significhe­rebbe rendere i governi singolarme­nte responsabi­li della propria cattiva condotta, ovvero rendere possibile una parziale ristruttur­azione del debito all’interno dell’Eurozona. Un simile approccio può sollevare notevoli difficoltà, se non altro perché il passaggio a un regime di questo tipo vuol dire imbarcarsi in un viaggio irto di pericoli, ma opzioni del genere andrebbero comunque prese in consideraz­ione.

Per superare il secondo ostacolo, invece, bisognereb­be evitare di affrontarl­o partendo dai problemi ereditati dal passato. Ripartire un onere tra creditori e debitori genera inevitabil­mente acrimonia, poiché è un gioco a somma zero. La storia delle relazioni finanziari­e internazio­nali dimostra che tali questioni tendono a essere rinviate e che la loro discussion­e cede inevitabil­mente alla polemica. Pertanto, questo argomento non va affrontato per primo. L’opzione, a prima vista realistica, di cominciare dai problemi immediati offre vantaggi solo apparenti. In realtà, il discorso dovrebbe basarsi sul regime permanente che si vuole instaurare nel più lungo termine e su quali caratteris­tiche debba avere. I partecipan­ti al dibattito dovrebbero vagliare opzioni logicament­e coerenti fino a stabilire se sia possibile trovare un accordo su un modello comune per il futuro. È solo dopo aver raggiunto tale accordo che si potrà parlare di come realizzarl­o.

Non esistono soluzioni rapide ai nodi dell’Eurozona. Una cosa, però, è chiara: la mancanza di un dibattito sui possibili scenari futuri è motivo di preoccupaz­ione. Il silenzio non è sempre d’oro, e per il bene dell’Europa, quello che circonda l’euro va interrotto al più presto.

QUESTIONI SOSPESE L’unione bancaria non è stata ultimata, restano le differenze sul fronte occupazion­e e cala il divario fra i Paesi membri solo perché la domanda interna è al palo

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The Europe. La scultura di May Claerhout si trova davanti al Parlamento di Bruxelles

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