Studi di settore, correttivi anticrisi
Ier i il via libera della Commissioni degli esperti
G li studi di settore imboccano nuovamente la strada dei correttivi per tenere il passo della crisi economica. Inoltre, gli “studi” non saranno utilizzabili ai fini dell’acce rtamento, non solo per i “minimi” ma anche per i soggetti che fuoriescono dal regime forfettario.
La Commissione degli esperti durante la riunione di ieri ha espresso il proprio parere su una serie di interventi relativi alla applicazione degli studi di settore per il periodo di imposta 2016. Gli interventi disposti per affrontare le difficoltà del mercato saranno comunque sottoposti ad una successiva verifica, al fine di valutarne l’effettiva coerenza, prima della relativa approvazione.
I correttivi 2016 hanno lo scopo di adeguare gli studi di settore alla situazione economica attuale e propongono i medesimi piani di interventi già previsti per il periodo di imposta 2015. Si tratta di interventi relativi all’analisi di normalità economica e di coerenza e di correttivi congiunturali di settore, territoriali e congiunturali individuali.
Oggetto di parere anche le evoluzioni previste per il periodo di imposta 2016. In particolare, la Commissione ha dato il via libera a: 18 studi del comparto del commercio; 7 studi del comparto dei professionisti; 20 studi del comparto delle manifatture; 12 studi del comparto dei servizi. Così come è arrivato il disco verde agli aggiornamenti delle diverse territorialità utilizzate per i nuovi studi che dovrebbero andare in evoluzione nel 2016.
Intanto sta decisamente cambiando la dinamica degli studi di settore sia come numeri complessivi sia come congruità, in decisa flessione. Infatti, i dati diffusi la settima scorsa dall’Agenzia (si veda il Sole 24 Ore dell’1 dicembre) e relativi al periodo di imposta 2015 indicano una netta flessione delle posizioni, scese da 3,81 a 3,46 milioni; 342mila unità in meno che sono la conseguenza sia della chiusura di partita Iva a causa della crisi sia del passaggio al regime dei forfettari (che non applicano gli studi). Scendono anche i ricavi e i compensi che passano dai 781 miliardi del 2013 ai 742,2 miliardi del 2015 e il dichiarato medio per posizione è pari a 213.989 euro (la media tra gli 85.476 euro delle persone fisiche, i 244.231 euro delle società di persone e i 634.441 delle società di capitali).
In brusca diminuzione la corrispondenza delle dichiarazioni a quello che gli studi ipotizzavano; infatti, nel 2015 le posizioni “congrue” sono state pari al 64,97% (erano il 66,23% nel 2014 e il 71,94% nel 2013). Allo stesso tempo sono aumentate le posizioni non congrue (1.215.048) salite al 35,03% rispetto al 33,77% del 2014 e il 28,06% del 2013. Tutto questo, appunto, nonostante i correttivi che hanno “limato” i redditi presunti che restano distanti (al netto dell’eventuale evasione, ovviamente) dal reddito “reale”. Ad ogni modo, i correttivi non hanno fatto mancare il loro apporto se è vero che 313.418 posizioni (il 13,91% dei non congrui) sono diventate “congrue” proprio grazie ai correttivi che hanno “cancellato” ricavi per oltre 1,6 miliardi di euro. Correttivi che sono intervenuti anche sulle altre posizioni non congrue (1.092.998) e nonostante l’abbattimento di redditi o ricavi per oltre 2,2 miliardi non sono riusciti a portare i soggetti in questione nel territorio della congruità.
LA TOLLERANZA I dati «stimati» non saranno utilizzabili per i soggetti che fuoriescono dal regime dei forfettari