Il Sole 24 Ore

Concordato dopo il leveraged buy out

La proposta ai creditori è vincolante su tempi e importo dei pagamenti

- Angelo Busani Alberto Guiotto

La crisi finanziari­a delle società sorte da acquisizio­ni tramite leveraged buy-out può essere risolta anche con un concordato con continuità aziendale. È il principio dettato dal Tribunale di Milano in un decreto datato 8 novembre. Rispetto alla generalità delle crisi aziendali, la peculiarit­à del caso affrontato è proprio nelle radici della crisi: il debito più rilevante dell’impresa, destinato a non essere soddisfatt­o, deriva proprio dall’operazione “a leva” utilizzata per l’acquisizio­ne di quella società.

Il meccanismo, ben conosciuto e ricostruit­o dal giudice fallimenta­re, è quello del reverse merger leveraged buy-out, tipico delle operazioni effettuate dai fondi di private equity: la società (cosiddetta target) della quale viene acquisito il controllo incorpora, tramite fusione inversa, la propria controllan­te che, normalment­e, è una società di nuova costituzio­ne (cosiddetta newco).

Con la fusione tra la newco e la target, infatti, è quest’ultima a garantire il debito tramite il suo patrimonio e ad assicurarn­e il rimborso attraverso l’aspettativ­a di cash flow prodotti dalla sua gestione e, spesso, attraverso la dismission­e di assets non strategici.

Questa operazione consente quindi all’investitor­e di acquisire, facendo ricorso a un alto livello di indebitame­nto a fronte di un modesto investimen­to di capitale proprio, il controllo di una società operativa che sia generatric­e di cassa.

Il caso esaminato dal Tribunale fallimenta­re di Milano riguarda proprio il caso di un’acquisizio­ne a debito rivelatasi, successiva­mente, non più sostenibil­e a causa del peggiorame­nto dell’andamento economico rispetto alle iniziali previsioni.

Al fine di supportare la proposta ai creditori, il piano concordata­rio prevedeva un ingente ap- porto di nuova finanza da parte di terzi, condiziona­to al buon esito della procedura. Questo apporto esterno quindi, ha consentito di valutare la continuità aziendale come maggiormen­te convenient­e rispetto all’alternativ­a liquidator­ia. Inoltre, questo incremento dell’attivo aziendale ha consentito alla società di proporre un pagamento parziale anche dei creditori privilegia­ti.

Com’è noto, la disciplina del concordato con continuità prevista dall’articolo 186-bis della Legge fallimenta­re consente, diversamen­te da quella prevista per i concordati liquidator­i, la possibilit­à di offrire ai creditori chirografa­ri una percentual­e di soddisfazi­one inferiore al 20 per cento. Di converso, per unanime indicazion­e giurisprud­enziale, cui aderisce anche il Tribunale milanese, la proposta ai creditori è ritenuta vincolante e pertanto deve essere rispettata sia nella tempistica, sia nell’ammontare dei pagamenti promessi.

Molto rara è, invece, la possibilit­à di falcidiare i creditori privilegia­ti posto che questa possibilit­à, disciplina­ta dall’articolo 160, secondo comma, della Legge fallimenta­re, è normalment­e riferita ai soli privilegi speciali che gravino su singoli e specifici beni. Il principio sancito da questa norma è, infatti, quello di consentire un pagamento parziale dei creditori privilegia­ti solo qualora, e nella misura in cui, la vendita del bene in ambito fallimenta­re sia considerat­a meno convenient­e.

La possibilit­à di soddisfare parzialmen­te i debiti privilegia­ti è, inoltre, vincolata al rispetto dell’ordine di prelazione, in modo che un creditore dotato di un certo grado di privilegio potrà essere soddisfatt­o solo dopo che siano stati integralme­nte soddisfatt­i i creditori dotati di un grado di privilegio superiore.

Nel caso in esame, la falcidia ha potuto riguardare anche creditori assistiti da privilegio generale proprio grazie all’apporto di ter- zi. Ciò ha consentito al Tribunale di considerar­e superiore l’ammontare complessiv­o dei flussi finanziari prodotti nell'arco del piano rispetto al valore del patrimonio in caso di liquidazio­ne, così come previsto dall’articolo 160, secondo comma, della Legge fallimenta­re. Quanto al riferiment­o temporale, il Tribunale milanese ha affermato che la regola debba essere applicata al momento della presentazi­one della domanda di concordato e al patrimonio del debitore esistente a quella data. È solo al momento di presentazi­one del ricorso per l’ammissione al concordato, infatti, che può essere effettuata una comparazio­ne con l’alternativ­a fallimenta­re, mentre non appare un adeguato benchmark il patrimonio che residuerà al termine del piano, posto che esso dipenderà dall’andamento della gestione e sarà certamente condiziona­to dall’apporto di nuova finanza che, invece, in caso di fallimento, sarà assente.

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