Genitori in conflitto con l’obbligo di percorso di aiuto
È specifico contenuto della responsabilità genitoriale l’onere di seguire un idoneo percorso di sostegno al corretto esercizio di questa, quando il figlio mostri una evidente sofferenza emotiva. Ciò vale sia per il padre sia per la madre. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma, Prima sezione, nel decreto camerale del 7 ottobre 2016 (giudice estensore Velletti).
Benchè non si possano imporre “trattamenti psicologici”, l’eventuale rifiuto di uno dei genitori a seguire quanto disposto dai servizi sociali come sostegno si potrà valutare come «condotta ostativa alla corretta crescita del figlio», in quanto lontana dai canoni della bigenitorialità. Il principio è centrale per rilevare come la giurisprudenza stia quotidianamente riempiendo di contenuti il concetto - inserito col nuovo testo dell’articolo 316 del Codice civile dal Dlgs 154/2013 – di responsabilità genitoriale che ha, di fatto, sostituito la potestà genitoriale.
Il decreto del Tribunale riguarda la richiesta della madre di modificare in senso massimamente restrittivo il provvedimento della Corte d’appello sulla regolamentazione del rapporto figlio-padre, in applicazione dell’articolo 337-ter del Codice civile. Dalla relazione della Ctu non erano emerse difficoltà del minore di riferirsi né al padre né alla madre, ma gravi e diretti danni alla sua crescita, tanto da portare il giudice a sottolineare come il consulente rilevi che il minore mostrasse «capacità grafiche inferiori alla sua età cronologica» ed eseguisse disegni da cui «emerge una realtà psicologica segnata da … rabbia, bisogno di stabilità e sensazione di vuoto, difficoltà di identificazione». C’è «l’immagine di un bambino lacerato dalla conflittualità esistente tra i due genito- ri, i quali vivono il proprio ruolo in modo competitivo e sopratutto fanno passare le comunicazioni (tra loro ndr) attraverso il figlio medesimo, secondo quindi una evidente simmetricità, sia nei conflitti che nel coinvolgimento del figlio».
Il Tribunale ha così rigettato ogni contrapposta istanza di affido del figlio (10 anni) e rilevato che «la conflittualità tra le parti viene attuata secondo un continuo attribuire all’altro le colpe di tutto» senza che nessuno dei genitori si renda conto che nel bimbo questo s’inducono adultizzazione, conflitto di lealtà ed autorepressione. Le più autentiche tracce comportamentali di vera e propria sofferenza emotiva.
Ciò posto, lungi dal far propria la richiesta materna di ridurre le modalità di frequentazione tra figlio e padre, ritenuta inadeguata anche la comportamentalità paterna (per aver coinvolto il figlio nella guerra contro l’altro ramo genitoriale), il Tribunale ordina con precisione, le modalità di esercizio del diritto del figlio a «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori» (articolo 337-ter del Codice civile) regolando le alternanze della vita settimanale, dei week end, della settimana bianca, delle vacanze natalizie, pasquali ed estive.
Così assicurata al figlio la pienezza del proprio diritto, il decreto del Tribunale ha disposto come sia onere di entrambi i genitori quello di seguire il percorso di sostegno che verrà suggerito dai servizi sociali, disponendo che questi ultimi debbono «vigilare sulle condotte dei genitori» segnalando poi alla Procura presso il Tribunale per i minorenni quelle condotte che siano contrarie all’interesse del minore rispetto alle disposizioni impartite.