Niente ok per la donazione di organi
L’amministratore di sostegno non può dare il consenso
L’amministratore di sostegno non può essere autorizzato dal giudice a manifestare il consenso al prelievo di organi per conto del rappresentato, incapace di agire, se la misura protettiva sia stata adottatata in considerazione dell’impossibilità di questi, di badare ai propri interessi. Lo afferma il Tribunale di Mantova, con sentenza del 25 agosto 2016. A sollecitare la pronuncia è la richiesta di un amministratore di sostegno tesa a ottenere dal giudice tutelare il benestare a esprimere, in luogo del suo rappresentato, la disponibi- lità all’eventuale donazione degli organi, ove non fosse riuscito a superare la gravissima situazione clinica in cui versava. Il ricovero in terapia intensiva e il coma cerebrale ne facevano ormai presumere la morte imminente. Condizioni, che avevano indotto i medici del reparto a chiedere all’amministratore – assenti parenti stretti del paziente – il consenso a un eventuale espianto, non avendo il malato mai manifestato, in precedenza, alcuna decisione in merito.
Autorizzazione rigettata: il meccanismo del silenzio-assenso previsto dagli articoli 4 e 5 del- la Legge 91/99, resa a disciplina della materia – spiega il Tribunale – non è stata mai attuata. E comunque, prosegue, la dichiarazione di volontà di disponibilità alla donazione (articolo 4, comma 3) non è consentita, come si legge nel testo normativo, «per i nascituri, per i soggetti non aventi la capacità di agire nonché per i minori affidati o ricoverati presso istituti di assistenza pubblici o privati». Tuttavia, a pesare, è stata la particolarità della vicenda concreta, che ha suggerito al giudice una soluzione su misura. L’amministrazione di sostegno si differenza dai provvedimenti d’interdizione e inabilitazione per il maggior ambito di autonomia riconosciuto all’amministrato. Del resto, l’istituto dell’amministrazione di sostegno ha la finalità di offrire a chi si trovi nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di curare i propri interessi, uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, adeguandosi, anche per flessibilità e agilità della procedura, alle esigenze del soggetto (Tribunale di Genova, 2316/16).
Nell’ipotesi specifica, però, l’amministrato non aveva mai avuto un vero margine di autodeterminazione. La misura di tutela disposta in favore del degente, infatti, era stata adottata soltanto a seguito di una puntuale verifica della sua incapacità a provvedere autonomamente ai propri interessi a causa di un’infermità psichica (schizofrenia cronica tipo paranoide). Andava messo in conto, pertanto, che, già prima che il quadro medico dell’uomo precipitasse il suo stato di salute mentale era equiparabile a quello di «un soggetto incapace di agire, per il quale non è consentita da parte del rappresentante, il rilascio di manifestazione di consenso alla donazione di organi». Di qui, le ragioni del “no” opposto dal giudice mantovano all’istanza avanzata dall’amministratore di sostegno.