Il difficile equilibrio della Bce
La politica monetaria deve rimanere espansiva, costituendo un elemento di stabilità, perché le attuali condizioni economiche sono migliorate, ma le prospettive vedono l’incertezza giuocare un ruolo importante. È il messaggio che il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha dato ai mercati, confermando che la Bce, seguendo una regola monetaria flessibile, segue una strategia di equilibrio, tra le due posizioni opposte dei “normalizzatori” e degli “acceleratori”, che altro non sono che i nuovi nomi dei falchi e delle colombe nel contesto dell’Unione Europea.
Le decisioni prese ieri dalla Bce sono coerenti con la regola di politica monetaria finora adottata. Esiste un obiettivo di medio periodo, rappresentato dalla stabilità del potere di acquisto dei salari e del valore reali dei beni e dei servizi. Tale stabilità, dalla Crisi in poi, è stata minacciata da un rischio di deflazione, che, se innescata, riduce stabilmente crescita e occupazione, aggredendo direttamente sia il reddito che la capacità di accumulare ricchezza dei cittadini.
La politica monetaria espansiva finora seguita dalla Bce ha eliminato il rischio deflazione, ma il successo non può essere dato per acquisito. Infatti la dinamica dei prezzi è ancora anemica, e lo sarà almeno per i prossimi tre anni. Quindi – è questo il primo messaggio di Draghi – la politica monetaria deve rimanere espansiva, in coerenza con il principio di seguire una regola di condotta.
Ma – ed è il secondo messaggio di Draghi – una regola monetaria per essere efficace deve essere anche flessibile. Il che significa tener conto di almeno due elementi: i risultati conseguiti da un lato, ma anche le prospettive future dall’altro.
In termini di risultati, la politica monetaria ha senza dubbio contribuito ad avviare l’uscita dell’Unione dalla trappola della liquidità, che è quella situazione tossica in cui l’economia non reagisce agli stimoli monetari convenzionali. Dopo una serie di misure espansive, nel gennaio 2015 la Bce decise di dare una ulteriore “scossa” con il cosiddetto “Qe europeo”, con acquisti mensili di titoli sul mercato pari a 60 miliardi di euro. La “scossa”, di fronte all’assenza di progressi, fu ulteriormente rinforzata nel marzo 2016, portando gli acquisti mensili a 80 miliardi. Ieri Draghi ha dato una buona notizia: il miglioramento dei risultati, sul fronte della dinamica dei prezzi e delle aspettative, consente di riportare la dinamica degli acquisti a 60 miliardi. I risultati ottenuti sono dunque la parte mezza piena del bicchiere.
La parte mezza vuota sono le prospettive. Draghi ha messo in luce come la parola chiave che ha caratterizzato il 2016 e che verosimilmente caratterizzerà anche il 2017 è: incertezza. Questo significa una sola cosa: che la politica monetaria deve confermare la sua regola, per dare un contributo di stabilità al quadro economico. Per cui l’orientamento della politica monetaria deve rimanere espansivo almeno fino al dicembre 2017, dove il termine almeno è stato sottolineato più di una volta.
Dunque, la situazione europea è migliorata, ma le prospettive sono incerte; quindi la politica monetaria, dato il suo obiettivo deve continuare a seguire la sua regola – orientamento espansivo – ma tenendo conto dei risultati, quindi riduzione degli acquisti, ma anche delle prospettive, dunque allungamento dell’orizzonte temporale. In altri termini: la situazione è migliorata, ma non è ancora affatto stabile: quindi la politica monetaria deve rimanere non convenzionale, e prendere al contempo atto dei progressi ottenuti, ma anche dei rischi esistenti. Particolare non trascurabile: Draghi ha sottolineato come la decisione di proseguire l’orientamento espansivo sia stato unanime, mentre tra le due opzioni discusse – una più aggressiva, con il mantenimento degli acquisti a 80 miliardi, con una estensione minima delle operazioni mensili minore – ed una più dolce – riduzione degli acquisti a 60 miliardi, con una estensione maggiore – è stata scelta la seconda. A conferma che la conferma della regola ha tenuto conto sia dei risultati che delle prospettive.
Certo la conferma della regola flessibile della Bce sicuramente solleverà critiche dalle due opposte visioni che oggi si fronteggiano sulla condotta della politica monetaria.
Da un lato saranno sicuramente delusi i “normalizzatori”, che è il nome attuale che possiamo dare ai falchi europei. I normalizzatori vorrebbero che la politica monetaria tornasse ad essere convenzionale, sulla base della convinzione che i risultati finora ottenuti sono i massimi possibili, e che ogni ulteriore mantenimento dell’orientamento espansivo non fa che aumentare i rischi di instabilità finanziaria e di distorsione degli incentivi di chi – imprese e Stati – deve ridurre il suo debito. La replica – indiretta – di Draghi ai normalizzatori è che la politica monetaria può dare ancora il suo contributo per il ritorno alla stabilità monetaria, mentre i rischi di instabilità e di distorsione correlati ad una politica monetaria espansiva sono tutti da dimostrare. Ai normalizzatori non piacerà l’estensione delle operazioni della Bce su titoli a più breve durata, come anche il fatto che l’operatività potrebbe produrre perdite nel bilancio della banca centrale. Draghi ha rimarcato il fatto come entrambe le fattispecie non violino alcuna delle regole che – dal Trattato e dalla stessa Bce – sono state definite per evitare le commistioni tra politica monetaria europea e politiche fiscali nazionali.
Ma dall’altro lato saranno contrariati anche gli “acceleratori”, che sono la versione europea delle colombe. Gli acceleratori vorrebbero che la politica monetaria accentuasse la sua aggressività: concretamente, questo significherebbe aumentare gli acquisti mensili e l’estensione delle operazioni, ma soprattutto eliminare le regole di autodisciplina che la Bce si è data sul tema, sopra menzionate. Draghi ha ricordato il “non possumus”: la regola monetaria della Bce deve essere conforme ai Trattati, evitando, per quanto è possibili, i rischi di azioni legali e di perdite di credibilità.
È certo un difficile equilibrio, in attesa che Bruxelles e i governi nazionali facciano il loro ruolo. Oltre ad esplorare i suoi limiti – economici ed istituzionali – la politica monetaria non può fare di più.