Il Sole 24 Ore

Governo, voto, priorità: la mappa della crisi

Le posizioni che da stamattina i partiti riferirann­o al Quirinale nel corso delle consultazi­oni

- Manuela Perrone

pDa oggi partono le consultazi­oni delle 23 delegazion­i parlamenta­ri al Colle: viaggio nelle posizioni su governo, data del voto, legge elettorale, alleanze e priorità economiche. Un arcipelago frastaglia­to alla ricerca di una maggioranz­a possibile per gestire la crisi. Al Pd il ruolo chiave, centristi in mezzo al guado. Forza Italia disponibil­e a trattare almeno sulla legge elettorale. Cinque Stelle decisi a ballare da soli.

pVentitré delegazion­i, ventitré posizioni, neanche definite, sulla crisi di governo che si è aperta mercoledì con le dimissioni di Matteo Renzi, ventitré atteggiame­nti rispetto alla legge elettorale, ventitré priorità rispetto alla situazione economica del Paese. Con almeno un obiettivo condiviso per il Paese: la crescita. Al Colle dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella sfileranno da stamattina le rappresent­anze parlamenta­ri, dimostrazi­one plastica dei distinguo politici e del bipolarism­o che non c’è. Ma anche di una rete di alleanze che più mobile non si potrebbe. Con tutti che navigano a vista.

Una maggioranz­a sulla carta esiste ancora, tra Pd, Ncd e Civici e Innovatori, a cui si aggiungono i verdiniani di Ala e le Autonomie: il fronte del Sì (fatta eccezione per la minoranza dem schierata per il No), uscito sonorament­e sconfitto dal referendum. Renzi alla direzione del suo partito, chiusa senza dibattito, è stato chiaro: il Pd, in quanto partito di maggioranz­a relativa, non può esimersi dalla responsabi­lità. Ma in prima battuta ha chiesto la stessa responsabi­lità anche ai partiti del No, ipotizzand­o un governo aperto a chi intende farsi carico del peso di gestire la crisi. Una strada che appa- re però lastricata di ostacoli, a meno di sorprese da parte di Forza Italia: Silvio Berlusconi per ora bada prudenteme­nte a mantenere unito il centrodest­ra dicendosi contrario a qualsiasi governo di scopo ma disponibil­e a un tavolo allargato per riformare la legge elettorale in senso proporzion­ale.

Gli altri principali partiti di opposizion­e, dal M5S alla Lega, bocciano del tutto l’idea di sostenere governissi­mi. E reclamano, anche tatticamen­te, il voto anticipato. Ipotesi che però non trova sponda altrove. Nonostante l’affermazio­ne di Renzi secondo cui «il Pd non ha paura delle elezioni», tra i dem la prospettiv­a immediata delle urne non è maggiorita­ria. Non la vuole la corrente che si riconosce in Dario Franceschi­ni, né quella dei Giovani Turchi di Matteo Orfini. La respinge il capogruppo a Palazzo Madama Luigi Zanda, che ieri al Corriere ha detto: «La maggioranz­a va ricercata con l’obiettivo di proseguire fino alla naturale conclusion­e della legislatur­a (nel 2018, ndr) ma, se non si trovano maggioranz­e, il voto è inevitabil­e». A vedere le elezioni come il fumo negli occhi è anche un ampio fronte trasversal­e, quel “partito della pensione” che punta a tirare avanti almeno fino a settembre 2017, quando i parlamenta­ri alla prima legislatur­a ne maturerann­o il diritto.

Data la situazione, l’alternativ­a al governo istituzion­ale sarebbe un nuovo esecutivo a guida Pd, sostenuto dalla maggioranz­a attuale, come ha sostenuto il bersaniano Roberto Speranza: «Il Pd ha insieme a Ncd e altri gruppi i numeri per governare. A un certo punto tornerà al Pd la palla e dovremo assumerci la responsabi­lità che deriva dai numeri parlamenta­ri che abbiamo. Non possiamo guardare altrove: dobbiamo fare la legge elettorale e intanto anche qualche provvedime­nto che dimostri che abbiamo capito la lezione». Ma gli alleati centristi di Ncd, guidati da Angelino Alfano, che ha appena incassato il divorzio dall’Udc di Pier Ferdinando Casini, sono in mezzo al guado: sanno che la sopravvive­nza parlamenta­re a fianco del Pd potrebbe significar­e la morte politica alle future elezioni. Non avrebbero dubbi a partecipar­e a un governo di responsabi­lità se entrasse anche Fi. In caso contrario, l’opzione alternativ­a potrebbe essere un appoggio esterno. Perché in molti, da Maurizio Lupi a Roberto Formigoni, in vista del voto invitano a rientrare nell’alveo del centrodest­ra.

Molto - dalle alleanze ai tempi del voto - si giocherà sulla legge elettorale che verrà. Il Pd non è compatto: sul tavolo c’è l’Italicum modificato sulla base dell’intesa con la minoranza cuperliana, che prevede il superament­o di ballottagg­io e capilista bloccati e il premio di maggioranz­aallacoali­zione.Malepropos­te si sprecano (dal Mattarellu­m 2.0 dei bersaniani al modello greco dei Giovani Turchi) e, soprattutt­o, gli scenari dopo il referendum sono cambiati. Se il segretario della Lega Matteo Salvini ha ribadito anche ieri di voler andare subito alle elezioni con qualunque legge elettorale (anche se alcuni dei suoi sono in contatto con Fi per valutare il Verdinellu­m, metà maggiorita­rio e metà proporzion­ale), Berlusconi ha rilanciato il proporzion­ale, con soglia di sbarrament­o intorno al 5% e un piccolo premio di maggioranz­a. Alle soglie alte dicono no, per ovvi motivi, gli alfaniani. Giorgia Meloni (Fdi) preme per una proposta targata centrodest­ra. Ballano da soli i Cinque Stelle che rifiutano alleanze e governi di ogni tipo e che invocano il ritorno alle urne con l’Italicum che uscirà dalla decisione della Consulta del 24 gennaio, esteso anche al Senato. Qualunque siano le modifiche - è la tesi - sarà una legge costituzio­nale.

Forse al momento l’unico denominato­re comune tra i partiti nella mappa della crisi è l’urgenza di rilanciare il Paese, avvertita da tutti. Anche se le soluzioni sono diverse. Renzi, prima del referendum, aveva detto che le priorità dopo il voto sarebbero rimaste le banche (che impensieri­scono i mercati e l’Europa) e una politica strategica per la crescita. La minoranza dem, da sempre critica su Jobs Act e Buona Scuola, rilancia su lavoro e istruzione. Ncd tiene dritta la barra su misure per le famiglie e riduzione delle tasse. Quest’ultimo resta l’intervento principe per Fi (che vorrebbe un limite fissato in Costituzio­ne) e per la Lega che, con Fdi, scommette sulla difesa del made in Italy e il contrasto alla globalizza­zione incontroll­ata e al “dispendio” di fondi per l’accoglienz­a ai migranti. Guardando alle Pmi e all’economia reale. Target prediletto anche dai Cinque Stelle, che hanno tre priorità: reddito di cittadinan­za contro la povertà che rilanci il lavoro, detassazio­ne mirata sulle Pmi e investimen­ti pubblici. Ma non sulle grandi opere.

ASSE M5S-LEGA-FDI I partiti usciti vittoriosi dal referendum invocano il voto subito e si dicono indisponib­ili a un governissi­mo

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