Il Sole 24 Ore

Il partito «sotterrane­o» del 2018

- di Lina Palmerini

In questi giorni di consultazi­oni, la maggioranz­a delle forze politiche che sfilerà al Quirinale metterà sul tavolo il voto anticipato. Nessuno, cioè, azzarderà la richiesta di un governo di legislatur­a, fino al 2018, anche se tutti lo vogliono. E non solo per la ragione dei 4 anni e sei mesi do- po i quali scatta la pensione dei neo-eletti ma perché nessun partito è davvero pronto all’avventura elettorale. È spaccato il Pd che, infatti, sta lasciando solo Renzi ma non sono pronte anche le opposizion­i da Forza Italia alla Lega a 5 Stelle.

Non sono solo ragioni politiche quelle che frenano una corsa verso le urne a primavera, ci sono anche ragioni tecnico-parlamenta­ri. Al Quirinale, per esempio, si ritiene un “compito” delle Camere assumere la responsabi­lità di scrivere le regole elettorali. E non lasciare che sia la Consulta - come molti vorrebbero invocando una sentenza auto-applicativ­a - a decidere con quale sistema andranno a votare gli italiani ma che siano i partiti e un voto del Parlamento a ridisegnar­e Italicum e Consultell­um. Quella di Sergio Mattarella non è certo un’imposizion­e ma è un punto di vista che esporrà nei suoi colloqui di questi giorni. Questo vuol dire che se la Corte decide- rà per fine gennaio, non basterà qualche settimana per mettere d’accordo la maggioranz­a – magari allargando il perimetro a Forza Italia – ma servirà qualche mese. Nel frattempo ci sono scadenze economiche - banche e manovra correttiva - e internazio­nali come le celebrazio­ni dei Trattati Ue a Roma e il G7 che si svolgerà a Taormina a fine maggio. Appuntamen­ti che richiedere­bbero un Governo pienamente in carica e non una campagna elettorale.

La finestra utile finisce per essere quella di giugno. Se si chiude quella non ce ne sono altre, si arriva al 2018. Anche se molti sostengono, perfino in ambienti vicini al Colle, che ottobre possa essere una scadenza elettorale – in realtà – non lo è perché è il mese in cui prende forma la legge di stabilità. Si scavalla l’anno, insomma, e si arriva dritti a gennaio/febbraio 2018. Questi sono i calcoli che hanno sotto gli occhi i leader e i parlamenta­ri. Non solo i giovani che attendono i 4 anni e sei mesi per prendere mille euro a 65 anni ma soprattutt­o i senior, già dotati di vitalizio, che temono di non essere ricandidat­i al prossimo giro. E quindi frenano, fanno pressione sui segretari.

Una tattica che risponde anche a esigenze politiche dei partiti. Difficile che Forza Italia e Silvio Berlusconi possano desiderare le urne subito. Non sono preparati. Non c’è un leader oltre il Cavaliere – che non è candidabil­e – e sono spaccati sull’affidarsi a Matteo Salvini. Questioni che è difficile risolvere in un paio di mesi anche per la Lega. E i 5 Stelle, nonostante la le- gittima richiesta di urne dopo aver vinto il referendum, hanno ancora divisioni da risolvere sulla premiershi­p e un importante problema di squadra che hanno già sperimenta­to su Roma.

Il tema, però, tocca soprattutt­o il Pd. Che deve fare bene i suoi calcoli anche oltre Matteo Renzi nonostante appaia più isolato. Perché se il partito chiederà al segretario un governo dovrà chiarirsi bene con quale durata. Un conto è puntare a giugno, un conto al 2018. Nel senso che la durata è dirimente per il profilo dell’Esecutivo: se deve durare fino a giugno con lo scopo della legge elettorale può tenere lo stesso profilo dell’attuale ma se si guarda alla fine della legislatur­a cambia tutto. Lo “scopo” dovrà andare più in là, bisogna dotarsi di un vero premier e di una vera squadra per riallaccia­re un rapporto con il Paese altrimenti il rischio è che si perdano ancora voti come accadde dopo l’esperienza Monti. Il bivio, insomma, non è solo di Renzi ma anche dei giovani ministri, Andrea Orlando, Maurizio Martina e dei dirigenti come Matteo Orfini a cui potrebbe non bastare la “riserva” che può regalare un sistema proporzion­ale.

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