Il Sole 24 Ore

Doppia visione in Borsa

- Di Morya Longo

Il bicchiere che Mario Draghi ha offerto ieri ai mercati finanziari, secondo alcuni economisti, è mezzo pieno. Secondo altri addetti ai lavori è invece mezzo vuoto. Gli operatori di Borsa sono divisi in due partiti.

Qualcuno nota che allungando il «quantitati­ve easing» per 9 mesi con un importo ridotto a 60 miliardi mensili, la Bce creerà più liquidità di quella che avrebbe prodotto mantenendo la manovra a 80 miliardi per soli 6 mesi. Dunque l’annuncio di ieri sarebbe positivo per i mercati, sempre famelici di denaro a basso costo. Qualcuno pensa però che la riduzione dell’importo degli stimoli monetari da 80 a 60 miliardi al mese rappresent­i l’inizio della fine della manovra monetaria super-espansiva della Bce: dunque, in quest’ottica, l’annuncio sarebbe negativo. Draghi è riuscito a dividere il mercato tra ottimisti e pessimisti. Ma oggi è difficile capire quale dei due partiti sia nel giusto.

Per questo le Borse europee hanno reagito bene, ma con cautela: l’indice Stoxx che le raggruppa tutte alla fine ha guadagnato l’1,23% nell’intera giornata, ma dall’inizio della conferenza stampa di Draghi alle 14,30 ha registrato solo un incremento dello 0,7%. Umore buono, dunque, ma senza euforia. Tra l’altro questa performanc­e è stata guidata in buona parte dal settore bancario, l’unico che ha avuto ieri un motivo vero per salire. Le parole di Draghi hanno infatti avuto l’effetto di ridurre tassi di mercato a breve termine e di innalzare quelli a lungo termine: dato che le banche si indebitano a breve ed erogano finanziame­nti a più lunga scadenza, questo movimento dei tassi di mercato ha un impatto potenzialm­ente positivo sui loro bilanci. Perché potrebbe aiutarle ad aumentare quella redditivit­à che da anni è ridotta al lumicino. Così le banche ieri hanno guadagnato mediamente il 3,60% in Italia, il 3,57% in Germania e il 4,83% in Spagna.

A dispetto del balzo di ieri della Borse, però, le incertezze restano elevate. Per vari motivi. Primo: il mercato teme che il sostegno che per anni ha avuto dalle politiche monetarie ultra-espansive sia destinato piano piano a venire meno. La Fed Usa alzerà i tassi il 14 dicembre e potrebbe farlo ancora l’anno prossimo. La Bce ha ridotto ieri la portata mensile degli stimoli e, secondo molti analisti, potrebbe proseguire su questa strada in futuro. Gli economisti sperano che il sostegno delle banche centrali venga gradualmen­te sostituito da quello di politiche fiscali espansive, ma in Europa questa è più una speranza che la realtà. Secondo: il sistema bancario resta troppo fragile in troppi Paesi (Italia e Germania in testa). In un continente dominato dalle piccole e piccolissi­me imprese che dipendono dal canale bancario per finanziars­i, avere banche fragili non giova alla crescita. Né alle Borse. Terzo: tra il 2017 e il 2018 andranno a votare Paesi europei che rappresent­ano il 70% del Pil dell’area euro. Questo, lo ha ribadito anche lo stesso Draghi, creerà ulteriore incertezza. Quarto: il rialzo del prezzo del petrolio potrebbe pesare sulla crescita europea, creando un’inflazione “cattiva” in grado di deprimere i consumi e di costringer­e la Bce a ridurre gli stimoli prima del previsto. Bene dunque che la Bce continui a stampare moneta, ma per le Borse la partita resta complessa.

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