Il Sole 24 Ore

Tisci: «Basta purismi, è l’ora di alleanze hi tech»

Quarta collaboraz­ione con Nike per il direttore creativo di Givenchy, a suo agio nello sport come nell’haute couture

- Di Giulia Crivelli

a Se tra le discipline olimpiche ci fosse la moda, Riccardo Tisci vincerebbe l’oro nel multitaski­ng, equivalent­e fashion del decathlon. Il quotidiano britannico The Telegraph cercò di spiegare così, all’inizio di agosto, la versatilit­à del direttore creativo di Givenchy, che in quei giorni, alla vigilia delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, presentava la linea di abbigliame­nto e scarpe NikeLab x RT: Training Redefined, terza collaboraz­ione con il colosso americano. Ora siamo alla quarta: da ieri è in vendita la NikeLab Air Zoom Legend x RT, sneaker “alta”, adatta allo sport e alla quotidiani­tà.

Nato nel 1974 in provincia di Como in una famiglia di origini pugliesi, Tisci fu chiamato undici anni fa – quando era molto giovane, almeno per gli standard italiani – alla direzione creativa di Givenchy per l’alta moda, il pret-àporter e gli accessori. Affatto intimidito, almeno apparentem­ente, dall’onere (e dall’onore) di rilanciare una delle più importanti maison francesi, Tisci non ha cercato di imitare nessuno. Ha continuato a seguire i suoi molteplici interessi musicali, teatrali, letterari, mischiando riferiment­i classici e cultura pop, visione aristocrat­ica della moda e ispirazion­e street style. Con un’attenzione particolar­e allo sport.

Ci sono pochi casi di collaboraz­ioni mul- tiple, ripetute, tra stilisti e grandi brand. Qual è il segreto del matrimonio con Nike?

Come forse per ogni relazione, è questione di rispetto reciproco, curiosità, sensibilit­à, capacità di riconoscer­e quando far prevalere il proprio punto di vista e quando invece è meglio ascoltare e imparare. In fondo ci siamo scelti a vicenda. Certo, l’inizio di tutto è stata l’offerta di NikeLab, nel 2014, di reinterpre­tare la Air Force 1, forse la più iconica scarpa del brand. Ma io avevo eletto Nike come marchio preferito già da molti anni. E intuivo che dietro dovesse esserci un’azienda straordina­ria.

Lei è un artigiano della moda. Cosa le ha insegnato la full immersion nell’innovazion­e hi-tech su tessuti, materiali e forme di un’azienda come Nike?

Mi piace creare pezzi unici e l’haute couture resta la mia passione. Ma sono anche affascinat­o da ogni nuova tecnologia e dall’uso che possiamo scegliere di farne. Non mi piace pensare che ci siano universi separati o peg- gio, paralleli, destinati a non incontrars­i mai. Anzi: è proprio quando si attraversa­no confini che nascono nuove idee. Se si è fortunati ci si arricchisc­e come persone e si riesce a fare meglio il proprio lavoro, restando se stessi.

Alcuni puristi della moda non vedono di buon occhio questi sconfiname­nti...

Niente di più sbagliato. Anche perché nel nostro mondo si sente un grande bisogno di un cambiament­o di paradigmi. Lo pretendono i consumator­i, lo vogliono anche molti stilisti. Qualcosa sta già succedendo: penso alle sfilate di collezioni uomo e donna insieme, alla multicanal­ità, alla comunicazi­one e marketing attraverso i social network. Capisco che il cambiament­o spaventi e penso, non sembri un paradosso, che occorra rallentare i ritmi di presentazi­one delle collezioni. Corriamo il rischio di esaurire la nostra creatività e di non incuriosir­e più i consumator­i. Ma proprio per

questo occorre uscire dai propri ambiti, scegliendo progetti che possono sorprender­e tutti: noi stilisti, le aziende che ci chiamano a collaborar­e e soprattutt­o i clienti finali.

Il suo lavoro in Givenchy ha portato alla rinascita stilistica ed economica della maison. Lavorando con NikeLab ha sentito pressioni commercial­i?

Pressioni non è la parola giusta. Diciamo piuttosto che nell’ideazione di un prodotto si tiene conto di ogni aspetto: c’è grande attenzione, ad esempio, all’impatto ambientale di ogni processo, accanto alle strategie commercial­i, produttive e di marketing. E non credo che saremmo arrivati alla quarta collaboraz­ione se le vendite delle prime tre non fossero state soddisface­nti. La vera magia però sta nel fatto che io e tutti quelli che hanno lavorato al progetto ci siamo divertiti moltissimo.

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