Il Sole 24 Ore

Le riforme, il voto e i rischi del populismo

- Di Franco Debenedett­i

Salvare il maggiorita­rio. Dopo il rovescio del referendum, dovrebbe essere questo l’obiettivo primario di Renzi. Nel suo progetto, le due riforme, costituzio­nale ed elettorale, erano tutt’uno: con la prima, superare i governi di coalizione e conferire maggior potere al governo sostenuto dalla sua maggioranz­a; con la seconda, consentire agli elettori di determinar­e la formazione di una maggioranz­a parlamenta­re. Tutt’uno lo erano anche per gli avversari, che all’uopo si erano inventati il famigerato “combinato disposto”.

Poi, sia per lo spostament­o in avanti del termine datosi dalla Consulta per il suo giudizio, sia per il sempre più evidente carattere tripartiti­co dell’offerta politica, sia per le tensioni della campagna elettorale, i due temi si sono divaricati. Ora che un’idea di Paese è stata bocciata, la possibilit­à di incidere sulle disfunzion­alità del meccanismo politico sta tutta nella riforma elettorale in senso maggiorita­rio.

Il proporzion­ale, secondo Massimo Saverio Giannini, capo di gabinetto del ministro della Costituzio­ne Pietro Nenni, avrebbe dovuto essere applicato solo la prima volta. E invece sono seguiti 70 anni di governi fatti e disfatti in Parlamento; governi deboli perché alla mercé dei micrometri­ci spostament­i di rapporti tra correnti di partito (e degli interessi che essi sostengono), governi precari perché durati in media poco più di un anno. Se essenza della politica è prospettar­e un futuro e disegnare le condizioni per realizzarl­o, è necessario abbandonar­e l’idea di una democrazia che si concreta nella mera rappresent­anza, nella riproduzio­ne fotografic­a del proporzion­ale, e accogliere invece il principio democratic­o per cui la minoranza controlla ma la maggioranz­a decide.

Sono in tanti a volere il proporzion­ale: in quello che era il centrodest­ra, perché tutti vogliono potersi contare, tutti vogliono avere un posto al tavolo politico, in tutte le combinazio­ni attuali e in quelle che eventualme­nte si formerebbe­ro se a qualcuno convenisse. I 13 milioni di Sì al referendum indicano che il Pd è la sola forza politica – almeno fin quando si scrive – solida: potrebbe dare le carte, non fosse per quanti al suo interno vorrebbero smontare le non molte cose buone fatte da Renzi: Jobs Act, banche popolari, contratti di lavoro. E, pur di opporsi, tifano per il proporzion­ale, incuranti di disperdere al vento l’esperienza dell’Ulivo e quella vocazione maggiorita­ria che del Pd è costitutiv­a fin dalla sua fondazione. La pulsione autodistru­ttiva nei momenti critici la sinistra non se la fa mancare mai.

Per non consegnare il Paese alle forze populiste in Italia non si può (più) contare sull’alleanza tra centrodest­ra e centrosini­stra, come in Germania, né su l’esprit républicai­n al secondo turno, come in Francia. Matteo Renzi aveva cercato di eliminare l’antiberlus­conismo come categoria della politica; poi le cose sono andate storte e restano i solchi che esso ha scavato nel campo. Quindi il ballottagg­io va eliminato: questo non vuol dire tornare al proporzion­ale. Le preferenze di chi scrive (e ne ha già scritto su queste colonne) vanno al maggiorita­rio di collegio a turno unico: funziona con successo da 200 anni nella più antica democrazia, obbliga a presentare candidati di valore, crea uno stretto rapporto tra elettore ed eletto.

Oggi sono altre opzioni politiche a occupare il dibattito: votare nel 2017, o puntare al 2018? Con questa maggioranz­a o allargata a Berlusconi? Anticipand­o il congresso Pd, o con primarie per la leadership? Con un Pd che resiste a queste tensioni o che si spacca? Alcuni punti dovrebbero essere fermi. Primo, cambiare l’Italicum: la pratica impossibil­ità di votare con due leggi totalmente diverse tra Camera e Senato, di fatto priva il Capo dello Stato di una delle sue principali prerogativ­e, e falsa i rapporti politici in Parlamento. Secondo: per evitare che a fine gennaio la Consulta deliberi su un Italicum già condannato, e di fronte al rischio che si senta in dovere di “correggerl­o” in modo autoapplic­ativo, il Parlamento dovrebbe prendere l’iniziativa di incardinar­e subito una proposta di legge per modificarl­o. Terzo: ovvio che la discussion­e debba essere aperta, ma sarebbe illogico gridare al vulnus alla democrazia se una legge maggiorita­ria viene approvata a maggioranz­a.

E infine: oltre al rischio di consegnare il Paese agli incogniti azzardi del populismo, c’è anche quello di lasciarlo nelle sperimenta­te sabbie mobili del proporzion­ale. Per questa ragione se Renzi, perso il referendum, mancherà anche l’obiettivo del maggiorita­rio, vedrà tutto il suo disegno riformator­e spazzato via dalla controrifo­rma proporzion­ale.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy