Il Sole 24 Ore

Una Cop per discutere di sviluppo sostenibil­e

- Di Fabio Pistella

Èacquisito che già oggi - e ancor più nei prossimi decenni - la crescita dei consumi energetici e la realizzazi­one di nuovi impianti avverrà soprattutt­o nei grandi Paesi in crescita, a cominciare da Cina e India (ma non va trascurato il Sud Est Asiatico, il Sud America e va auspicato uno sviluppo energetico del continente africano come fattore per uscire dal sottosvilu­ppo).

Molti sostengono che l’Europa debba “a qualunque costo” ridurre le proprie emissioni di CO2. L’illogicità è nella connotazio­ne “a qualunque costo” tenuto conto che: e l’impronta energetico ambientale dell’Europa non è particolar­mente alta, anzi; r in Europa sono diffuse situazioni di sovracapac­ità produttiva, quindi non è necessario realizzare nuovi impianti, anzi stanno fermi anche impianti di elevata efficienza come turbogas e ciclo combinato; t si applica al settore la legge dei rendimenti marginali decrescent­i (è più costoso e impegnativ­o ottenere ulteriori benefici su efficienza e impatto ambientale se il livello di partenza è già buono) u la Ue pesa circa il 10 % nelle emissioni di CO2 e, se si lancia in un programma “lacrime e sangue” di riduzione pari al 15 % dei valori attuali, a fine periodo (immaginiam­o al 2040, tanto per fissare una data) avrà dato al contenimen­to del totale delle emissioni un contributo pari a circa l’1,5 %. Anche meno, visto che le emissioni, inevitabil­mente, a quella data, saranno salite rispetto a ora. La retorica del dare un segnale e del fare la propria parte appare inefficace e inefficien­te. E rischiosa, perché penalizzan­te oltre misura nella competitiv­ità sia di importanti comparti sia trasversal­e, per effetto degli elevati costi dell’elettricit­à sostenuti dal sistema produttivo; i un approfondi­mento a parte dovrebbe essere dedicato ai meccanismi di attuazione delle policy Ue; un esempio dei limiti di questi meccanismi sta nella ripartizio­ne tra Paesi degli impegni Ue e nell’enforcemen­t di strumenti quali gli Ets per non parlare, a livello internazio­nale, delle interminab­ili discussion­i sulla carbon tax.

È evidente la convenienz­a di realizzare gli interventi delineati nel paragrafo precedente in quei Paesi dove l’esigenza di efficienza è più marcata, dove si manifesta la domanda di nuovi impianti e infrastrut­ture e dove i rendimenti economici sono più soddisface­nti. Meccanismi di collaboraz­ione tra Paesi in crescita e Paesi industrial­izzati erano stati previsti nelle fasi di negoziazio­ne e in parte nei testi finali degli accordi via via sottoscrit­ti ma l’entità della loro applicazio­ne è stata modesta.

Un principio di riferiment­o potrebbe essere che i sovra costi associati all’impiego delle best available technologi­es sia sostenuto dai Paesi industrial­izzati, con meccanismi da definire, per esempio in forma di prestiti a lungo termine e basso tasso di interesse. Si potrebbe anche far ricorso a un meccanismo di project financing ad hoc per i costi aggiuntivi che preveda la cessione ai Paesi finanziato­ri di una quota delle tariffe per l’elettricit­à prodotta dai nuovi impianti. Potrebbe essere delineata una sorta di Piano Marshall con benefici quali una responsabi­lità condivisa tra Paesi in crescita e industrial­izzati e, per questi ultimi, una rinnovata stagione di commesse per imprese dell’elettromec­canica e della green economy che stanno fronteggia­ndo una crisi di domanda. Un ruolo potrebbero giocarlo anche le grandi imprese del mondo idrocarbur­i, che hanno già dato segnali di disponibil­ità e le grandi utility come l’Enel, già significat­ivamente internazio­nalizzate. Spunti interessan­ti potrebbero essere colti dal ricorso ad accordi del tipo usato dai cinesi in Africa.

Un approccio di questo tipo richiede una diversa modalità operativa di alcune importanti Agenzie internazio­nali e soprattutt­o più coordiname­nto e integrazio­ne a livello di policy e di gestione di singoli progetti. In sede di COP21, è stata menzionata l’ipotesi di coinvolger­e la Wto nella gestione del fantomatic­o fondo da 100 miliardi di dollari.

Ottima idea. Ma per raggiunger­e il livello di investimen­to necessario, dovranno essere coinvolti organismi quali l’Fmi e la Banca Mondiale e anche la Banca europea degli investimen­ti.

Un’osservazio­ne conclusiva. Si sta diffondend­o la consapevol­ezza che le crisi politiche con risvolti bellici, le difficoltà economiche e sociali, le migrazioni e il terrorismo sono fenomeni inestricab­ilmente connessi che non ha senso affrontare singolarme­nte. Bisogna riconoscer­e che con il Migration compact il governo italiano ha disegnato un percorso che merita di essere approfondi­to. La sua udienza in ambito europeo è una parabola, partita con le critiche, passata per una effimera condivisio­ne e relegata in un colpevole oblio.

Eppure è l’unica proposta degna di nota in un contesto di improvvide­nza desolante di fronte a tragedie che proseguono e non accennano ad attenuarsi. Tante parole sulle potenziali future drammatich­e conseguenz­e dei cambiament­i climatici (e pochi fatti). Sulle migrazioni con il loro carico di conseguenz­e immediate e prospettiv­e, son finite pure le parole e i fatti restano pochi anzi pochissimi. Lo sviluppo del binomio disponibil­ità di energia e protezione dell’ambiente potrebbe dare invece luogo a risultati concreti sul fronte della risposta ai cambiament­i climatici e non solo. A quando una COP sul Piano Marshall degli anni 2000 che affronti il dramma dello sviluppo sostenibil­e nei suoi risvolti ambientali economici e sociali con lo stesso risalto mediatico e lo stesso parterre de rois che ha avuto a Parigi la COP21? (Speriamo, però, con esiti meno vaghi e inconclude­nti).

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy