Con i contributi del datore di lavoro il costo è meno alto
L’uscita del lavoratore compensata con la prosecuzione dei versamenti all’Inps
Datore di lavoro e dipendente possono raggiungere un accordo per l’uscita anticipata dall’azienda in base al quale quest’ultima versa dei contributi una tantum che riducono il costo dell’Ape a carico del lavoratore.
Il comma 172 dell’articolo 1 della manovra approvata il 7 dicembre condensa in poche righe le peculiarità dell’Ape aziendale.
Il vantaggio di quest’ultima può dunque essere meglio compreso ponendo le due forme di anticipo pensionistico a confronto. Il lavoratore che, da maggio 2017, abbia almeno 63 anni di età e almeno 20 anni di contributi, a cui manchino non più di 3 anni e sette mesi al conseguimento di una pensione di vecchiaia (del valore lordo mensile non inferiore a circa 703 euro) ha diritto a chiedere un anticipo pensionistico della durata minima di sei mesi e massima di tre anni e sette mesi, erogato mensilmente senza imposizione fiscale.
Al momento del conseguimento della pensione di vecchiaia, l’Inps tratterrà dalla pensione le rate definite dal piano di ammortamento. Come si può comprendere, il dipendente in questa forma di Ape sostiene tutti i costi dell’anticipo (parzialmente attutiti dal credito d’imposta generato dai premi assicurativi e dagli interessi sul prestito), ripagandoli gradualmente dal momento della decorrenza della pensione di vecchiaia.
La variante aziendale prevede l’aggiunta di una ulteriore figura nel già popolato insieme di attori dell’Ape (dipendente, Inps, Istituti di finanziamento e assicurativi), vale a dire quella del datore di lavoro. La manovra consente, infatti, ai dipendenti e ai datori di lavoro del settore privato di stringere un accordo individuale per consentire a questi ultimi di “partecipare” all’Ape, aumentando il montante contributivo del dipendente.
La misura di tale partecipazione sarà liberamente scelta nell’accordo e dovrà essere pari come minimo all'equivalente della contribuzione volontaria (nel 2016 al 32,87% della retribuzione imponibile dell’ultimo anno) dall’accesso all’Ape fino alla maturazione dei requisiti della pensione di vecchiaia.
Ad esempio, per un dipendente con ultima retribuzione imponibile annuale pari a 30mila euro cui manchino tre anni alla pensione di vecchiaia, il datore di lavoro destinerà un contributo totale di circa 29.500 euro.
La provvista contributiva dovrà essere materialmente versata all’Inps in unica soluzione entro la scadenza di pagamento dei contributi del mese di percezione dell’Ape (per esempio, prima mensilità di Ape percepita a giugno 2017, versamento della provvista entro la fine di luglio).
In caso di mancato o ritardato pagamento dell’importo complessivo si applicherà la sanzione vigente per omissione contributiva (5,55% in ragione annua).
Il vantaggio di questa operazione per il datore di lavoro consiste nell’avere a disposizione un ulteriore mezzo di gestione degli esuberi che consenta di “ammortizzare” il disagio patito dall’ex dipendente senza richiedere un diretto intervento assistenziale da parte dello Stato (riservato alla fattispecie dell’Ape Sociale). L’aumento del montante contributivo consentirà al dipendente di aumentare il futuro reddito di pensione in una misura minima pari alla contribuzione che sarebbe stata versata a parità di retribuzione fino all’accesso a pensione di vecchiaia.
Dipendente e datore di lavoro potranno così calcolare un punto di pareggio, che consenta al dipendente di aumentare la propria pensione tanto da compensare completamente la trattenuta mensile del prestito. L’Ape aziendale potrà anche essere attivato dai fondi di solidarietà bilaterali, compresi quelli dei settori della somministrazione di lavoro e dell’artigianato, inclusi anche i fondi interprofessionali, arricchendo in questo modo le prestazioni erogabili già previste dal decreto legislativo 148/2015.
LE CARATTERISTICHE L’intesa tra dipendente e datore è individuale Il costo del prestito può essere neutralizzato dalla pensione più alta