La Turchia annaspa nella crisi
Lira in caduta, tassi e rendimenti al rialzo non aiutano la Borsa
La crisi della Turchia e della sua moneta si sta avvitando in una spirale pericolosa. Da settembre la lira turca ha perso il 20% del suo valore nei confronti del dollaro. Solo nell’ultimo mese la caduta è stata del 10% centrando così il triste record di peggior valuta dei Paesi emergenti. L’intervento della Banca centrale turca, che lo scorso 24 novembre ha alzato i tassi dello 0,5% per la prima volta dal 2014 nel tentativo di risollevare la lira, è servito a poco se non a nulla.
Va dato comunque atto ai responsabili della politica monetaria turca di aver agito con coraggio viste le pressioni del presidente Recep Tayyip Erdogan per un’ulteriore riduzione del costo del denaro. Secondo Erdogan questa sarebbe l’unico modo per sostenere la crescita economica del paese. Le continue ingerenze del presidente e le sue discutibili ricette per sostenere la lira come gli appelli alla popolazione per convertire valuta straniera sortiscono però esattamente l’effetto opposto. Mentre il presidente continua a evocare non meglio precisati sabotatori stranieri che speculano contro il Paese, gli investitori sono preoccupati per la svolta autoritaria. Vacillano i principi dello stato di diritto e si moltiplicano gli espropri di beni e imprese privati a danno di presunti oppositori del presidente.
Il Paese, fortemente dipendente da investimenti esteri, patisce anche fattori esterni. Da un lato il rafforzamento del dollaro su tutte le valute innescato dalle attese per le politiche economiche di Donald Trump, dall’altro i recenti rincari del petrolio seguiti all’accordo tra i paesi Opec per un taglio alla produzione. Nell’ultimo mese la Borsa di Istanbul ha perso circa l’1%