Le misure avviate per il rilancio dell’economia non vanno sprecate
Nella cattiva retorica che ha accompagnato il risultato del referendum si rischia anneghi un giudizio misurato ed equanime su quanto ha fatto il governo Renzi. La tesi per cui il 60% dei cittadini avrebbe bocciato la sua azione è poco credibile, non tanto perché si spera che una parte almeno dei votanti abbia risposto direttamente al quesito referendario, ma soprattutto perché il giudizio che su Renzi hanno veicolato le opposizioni più che sulla sua politica è stato sullo “stile” del premier combinato con un rifiuto che fosse necessario “cambiare verso” per mettere mano ai guai del paese. Come è tipico di tutti i momenti di transizione, troppi pensano che cambiare le modalità di affrontare i problemi significhi accettare che i bei tempi passati non potranno più tornare: di qui il rifiuto delle riforme che toccano quelli che a torto si definiscono risultati acquisiti.
È difficile non riconoscere che Renzi ha lavorato con grande energia nei suoi mille giorni a palazzo Chigi, smentendo l’immagine di un modo di governare all’italiana che sarebbe rappresentato dal vecchio moto queta non movere. L’elenco degli interventi messi in campo in questo non breve lasso di tempo è notevole. Certo contiene anche misure discusse come i famosi 80 euro nella busta paga dei ceti meno fortunati o le normative denominate “buona scuola”, per non dire dell’abolizione generalizzata dell’Imu sulla prima casa. Si tratta però sempre di norme che avevano l’obiettivo di rimettere in moto una situazione economica stagnante (e qualche risultato lo si è pure raggiunto) o che volevano rompere con situazioni incancrenite lanciando dei nuovi approcci all’organizzazione del nostro sistema di istruzione.
L’elenco degli interventi può essere lungo, ma ne ricordiamo alcuni tanto per rinfrescarci la memoria: l’abolizione di fatto delle provincie e il varo delle città metropolitane; gli interventi per il rilancio dell’occupazione, incluso il famoso e tanto discusso Jobs Act; le misure per il rilancio della competitività e i vari interventi a favore del nostro sistema produttivo; le norme per le carceri e quelle per il riordino del processo civile; gli interventi per il rilancio dell’agricoltura; l’azione per gestire le devastazioni del terremoto in Emilia Romagna; sul piano dei diritti sociali l’introduzione del divorzio breve e la nuova politica per fronteggiare i problemi dell’autismo.
L’elenco non è né vuole essere esaustivo, ma solo ricordare che c’è stato un governo che ha lavorato per “sbloccare l’Italia”, tanto per riprendere uno dei suoi slogan. Perché allora c’è stata così poca considerazione per questo lavoro, ovviamente non esente da problemi come è inevitabile? Si potrebbe rispondere banalmente in politichese che ciò deriva da un orizzonte politico troppo frammentato, dove molti hanno fiutato che la divaricazione esistente fra la drammaticità dei problemi posti dalla transizione esistente e la capacità del governo di dare soluzioni rapide poteva facilmente essere sfruttata per svilire qualsiasi risultato si potesse ottenere.
Per realismo va detto che Renzi ha dato una buona mano ai suoi avversari perché la sua comunicazione ha sempre assunto toni trionfalistici, a volte anche, talora soprattutto a livello di comunicazione non verbale (il modo di porsi, la mistica delle slide): era il modo di facilitare le critiche di un populismo che più che alla soluzione delle tensioni sociali guarda al loro sfruttamento.
Apparentemente oggi Renzi esce ridimensionato nelle sue ambizioni, ma sarebbe saggio aspettare un poco a trarre queste conclusioni. Di fatto la saggezza del Capo dello Stato ha impedito che a prevalere fosse la voglia di ordalia che percorre gran parte della classe politica ed ha imposto che la necessaria ed inevitabile verifica dei consensi che è richiesta dall’opacità della situazione attuale non si consumasse in una precipitosa sfida elettorale all’ultimo voto.
La scelta di evitare il governo istituzionale per lasciare il campo ad un governo politico va nella direzione di confermare
APPROCCIO COSTRUTTIVO C’è stato un governo che ha lavorato per sbloccare l’Italia, non bisogna distruggere ciò che è stato fatto
tanto verso il paese quanto verso i nostri partner internazionali che non si butta a mare il lavoro che si è fatto sin qui. Non siamo ingenui e sappiamo bene che la soluzione della crisi è dipesa anche dal combinarsi di varie spinte politiche niente affatto convergenti, ma il compito del Presidente della Repubblica è quello di trovare ciò che nella Germania del primo Novecento si chiamava “la politica della diagonale”, cioè proporre soluzioni che sfruttino in senso positivo il confliggere delle opposte forze in campo.
Il presidente del consiglio incaricato, Paolo Gentiloni, ha le caratteristiche per evitare gli errori comunicativi in cui è caduto in generale il renzismo, mentre al tempo stesso può condurre il paese verso una prova elettorale gestita con regole che ridimensionino le fiammate populiste e costringano invece a misurarsi con la necessaria ripresa dei temi che ha messo in campo la nostra crisi. Perché a questo dovranno candidarsi i partiti che richiederanno il consenso elettorale ai cittadini, senza distruggere per volontà di esibizione muscolare quanto si è accumulato in questi ultimi difficili anni.