Raccontare senza narrare
Raccontare senza narrare, o, meglio, lasciare che il Narratore predisponga un gioco di pareri sfumati, di impressioni negate, di osservazioni sommessamente provocatorie, di indizi fasulli, di informazioni dall’unica valenza emotiva. Questo è il modo in cui un grande scrittore americano come Henry James, costruisce una complessa architettura psicologica per poi calarvi dentro una manciata di personaggi della upper class inglese, tutti “imprigionati”, durante un sontuoso week end, in una villa fuori Londra.
Il romanzo di cui si parla è La fonte sacra, scritto da James nel 1901, poco prima di due capolavori come Le ali della colomba e Gli ambasciatori, che segnanolaconsacrazionedefinitivadelsuo“stileinternazionale” (frasi articolate, lunghe, divaganti e ricche di incisi e metafore, in grado di dare fiato a uomini e donne dell’alta borghesia a mezzo fra America e Europa). E la sua struttura, che sembra contenere elementi innovativi come la complessità dei “punti di vista” capaci di anticipare alcuni spunti del Modernismo del XX secolo, mette talvolta a dura prova il lettore.
Nella Fonte sacra non avviene nulla di rilevante. Assistiamo,infatti,alritrovodialcunepersonealla stazione di Paddington (tra cui i coniugi Guy and Grace Brissenden, una coppia con grande differenza di età, il dandy Gilbert Long, la sontuosa Lady John e la bella May Server). Tutti, in gruppi diversi, si avviano subito dopo verso la residenza di campagnadiNewmarch,dovesonosaltuariospi- ti insieme ad altri esponenti cittadini. Ecco la cornice entro cui, come in un quadro di John Singer Sargent, sono racchiusi i protagonisti del romanzo, la cui cerchia si va quasi subito rarefacendo sinoalimitarsiadungiocointerattivofraduecoppie (i Brissenden e due supposte figure di amanti).
Insomma, quest’opera di James, come si può capire, ricalca assai bene il suo filone centrale affidato all’esercizio di uno psicologismo totalmente invasivo(finoadarrivareadunasperimentazione esasperata, certo in linea con quei Principi di psicologia da poco teorizzati dal fratello William), ma compie anche un salto di qualità (se non di potenza lirica) laddove fa interagire proprio quei personaggi con le categorie mentali ed emozionali del Narratore, cioè dell’autore stesso. Del resto, a proposito della Fonte sacra si è parlato di romanzo nel romanzo, di vera e propria metanarrativa, in quanto, oltre a descrivere i processi della loro psiche, descrive i procedimenti creativi dell’artista.
La trama, che poi non c’è, si basa su una “sensazione” del Narratore, il quale sin dall’inizio rileva, non senza inquietudine, un fatto inspiegabile: due degli ospiti di Newmarch, la coppia Brissenden, mostrano un curioso cambiamento rispetto all’ultima volta che li ha visti in pubblico. L’uomo, più giovane della donna, appare ora più anziano, mentre Grace è fortemente ringiovanita. E la stessa cosa vale per Gilbert Long e May Server. Che cosa ha generato queste metamorfosi? Quale particolareavvenimentoharidatofattezzegiovaniliad alcune di queste persone? Forse la nascita di un amore segreto fra di loro? Una relazione, abilmente celata, che ne ha rinnovato il fisico, oltre che lo spirito? Il Narratore imbastisce una rete di congetture, lasciando anche sottinteso che essi avrebbero potuto attingere ad una “fonte sacra” capace di ridonare la giovinezza. Ma questa fonte non si trova, in un’atmosfera vagamente “soprannaturale” che conferisce spessore a quella che, banalmente, potrebbe essere considerata una detective-story in cui non emerge mai il corpo assassinato, ma solo il movente (non dimentichiamo che la fascinazione del soprannaturale è ben presente in James, basti solo pensare agli “scarti” dalla realtà nel Giro di vite). L’impressione che si ha leggendo La fonte sacra è che la concatenazione dei pensieri, costruita secondo un’incalzante logica deduttiva che non deduce nulla, per poi sfociare in una ulteriore domanda, poggi più sul “non detto” che sull’escursione dei fatti. Tant’è che alla fine, durante un colloquio rivelatore (che rivelatore non è) tra il Narratore e Grace Brissenden, un colloquio ambientato in una sala deserta della man
sion quando tutti sono andati a dormire e resta solo il baluginio delle candele, apprendiamo che è stato proprio l’amore a compiere questo sortilegio. Un amore incrociato fra le coppie: ma in ultima analisi non sappiamo quali coppie.
Resta soltanto uno squarcio sui processi creativi dell’artista, sulla sua capacità di rincorrere suggestioni e immagini, di sentirsi sollecitato da visioni che non hanno nulla a che vedere con la realtà, di inseguire idee e percorsi mentali senza sapere dove sfoceranno (ma sfoceranno fatalmente nell’opera d’arte stessa). La fonte
sacra non fu accolto molto bene dalla critica contemporanea proprio per questo: l’autore ribaltava la sua lente interpretativa focalizzando su se stesso, sulle pieghe della propria mente. Un’autoanalisi che, però, guardava al futuro della sperimentazione letteraria.