Il Sole 24 Ore

Le paure dell’Europa e il tramonto delle élite

Quello in corso tra Occidente e jihadisti non è uno scontro di religione ma di interessi

- Di Alberto Negri

Sicurezza, immigrazio­ne e crisi economica sono le tre questioni che si aggirano in Europa non come fantasmi ma sotto forma di persone reali e interessi. Il terrorismo importato dal Medio Oriente, dove l’Occidente ha esportato per 15 anni guerre imbecilli (come disse Obama nel 2002), non democrazia, rende il tutto più esasperato. Ma anche immediato con l’ “effetto Aleppo”: la conquista della città siriana da parte delle truppe di Assad è in realtà una sorta di rivincita della Russia sulla sconfitta subita dall’Unione Sovietica in Afghanista­n nell’89, anno del crollo del Muro.

È evidente che Putin è il personaggi­o dell’anno, leader di un Paese con un Pil simile a quello dell’Italia e una spesa per la difesa otto volte inferiore a quella americana: è riuscito a risollevar­e Mosca al rango di superpoten­za, se non globale almeno euroasiati­ca, ergendosi a vincitore dei jihadisti diventati l’incubo degli europei. Putin solleva le simpatie di molti nel continente, certo non in Ucraina, in Polonia o nei Paesi baltici ma in buona parte dell’opinione pubblica e nei movimenti populisti in corsa per le elezioni del 2017 in Francia e Germania. Un tempo Mosca era il faro del comunismo, adesso quello delle destre. Il neo-presidente americano Donald Trump che ama i vincenti se lo vuole fare amico. Gli serve per giocarsi la partita con la Cina che non è soltanto commercial­e ma strategica. Nel 2015 le spese per la difesa Usa sono state di oltre 500 miliardi di dollari, quelle della Cina di 215, 88 in Arabia Saudita e soltanto 66 in Russia. È chiaro che per gli Usa la partita globale più temibile si gioca non con Mosca ma con Pechino e sul versante Asia-Pacifico.

In questo quadro dove i vincenti del momento, o presunti tali, sono personaggi dai tratti autocratic­i ed eccentrici le élite del continente sono chiamate a una sorta di resa dei conti. Le previsioni non sono facili, basti pensare al risultato della Brexit britannica ma anche alla valanga di no che nel referendum costituzio­nale ha sotterrato il governo Renzi.

La reazione delle élite, soprattutt­o di quelle che hanno come riferiment­o l’Unione europea di Bruxelles, sono state quasi infantili. «Che i britannici se ne vadano subito», disse nel giugno scorso il presidente francese Hollande, un signore che porta alcune responsabi­lità, come Sarkozy che nel 2011 decise di bombardare la Libia e con la Nato minacciò di colpire anche i terminali dell’Eni.

Nel settembre 2013 a sua volta Hollande voleva bombardare Assad e aveva già gli aerei in volo quando Obama decise il contrario. Insieme all’ex segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha appoggiato la Turchia come testa di ponte dei jihadisti per far fuori il regime di Damasco. Poi dopo le stragi di Parigi ha chiesto il sostegno della Siria per attaccare l’Isis con l’aviazione e dimostrare che è un uomo dal pugno di ferro.

Sono leader come Hollande, Cameron e la Clinton che hanno giocato pericolosa­mente con il jihadismo. Per quale motivo? È molto semplice: per soldi. I maggiori finanziato­ri dell’Islam radicale sono sempre stati i sauditi, che hanno pagato il 20% della campagna elettorale della Clinton, e gli emiri del Golfo, grandi clienti e investitor­i in Europa e negli Usa: le monarchie in Iraq volevano con Al Qaida prendersi la rivincita sugli sciiti che avevano sostituito Saddam al potere; in Siria abbattere lo storico alleato dell’Iran che non erano riusciti a sconfigger­e negli anni Ottanta finanziand­o la guerra di Baghdad contro Khomeini.

Non è un caso che dopo avere salvato con i soldi di Riad l’industria nucleare francese, Parigi si opponesse all’accordo con l’Iran del 14 luglio 2015. Poi gli emiri hanno pagato pure la guerriglia lanciata dalla Turchia in Siria: non devono essere troppo soddisfatt­i ora che Erdogan, altro leader ipernazion­alista oltre che islamista, ha accettato a Mosca che Assad resti al potere. E i sauditi sono ancora più preoccupat­i perché nonostante le nostre forniture di armi si sono impantanat­i nella guerra dello Yemen contro gli Houthi sciiti. Le monarchie del Golfo, hanno un vecchio vizio: esportare destabiliz­zazione per non averla in casa propria.

Gli sceicchi hanno pagato un po’ tutti. Malbrunot e Chesnot, due inviati in Medio Oriente di lunga data (furono anche sequestrat­i in Iraq), nel libro “Nos très chers émirs”, descrivono come il Qatar si è comprato il consenso dei politici francesi, dal Partito socialista al Fronte nazionale, Marine Le Pen compresa. Ma l’aspetto più interessan­te riguarda la politica estera: i massicci investimen­ti qatarini e sauditi hanno fatto sì che Parigi sostenesse in questi anni le posizioni ostili di Doha e soprattutt­o di Riad nei confronti dell’Iran, appoggiand­o anche i gruppi radicali islamici anti-Assad in Siria.

Quando le cose non vanno come dovrebbero, ovvero il terrorismo ci torna in casa insieme a ondate di profughi provocate dalle “nostre guerre”, cominciano le lamentele, puntualmen­te raccolte dai populisti che hanno vita facile a reclamare misure eccezional­i, la chiusura delle frontiere e indicare in una religione, l’Islam, la fonte di tutti i mali. Lo scontro non è di religione ma di interessi. Se ci siamo alleati con i simpatizza­nti del jihadismo, che nelle loro scuole islamiche sfornano imam ultra-conservato­ri e anti-occidental­i, la colpa non è del Corano. Il nostro cuo- re non batte per la giustizia ma per il portafogli­o.

Se poi le elezioni vanno male la colpa è degli elettori. Sul sito della prestigios­a rivista Foreign Policy si trova un articolo dal titolo esplicito “Trump ha vinto perché i suoi elettori sono ignoranti, letteralme­nte”. Il sommario toglie ogni dubbio: «La vocazione della democrazia è applicare la volontà popolare. Ma che succede se il popolo non sa quel che fa?». Insomma serpeggia una sorta di “razzismo dell’intelligen­za” che vuole privilegia­re il regno delle persone molto istruite, degli esperti. Classi dirigenti che per altro a loro volta si sono affidate ad altri regni, autoritari e retrogradi, come le monarchie del Golfo e per interesse ne hanno assecondat­o le scelte dissennate travestend­ole con l’esportazio­ne della democrazia e la lotta ai tiranni arabi.

Le élite europee “tradiziona­li” rischiano di morire come quelle americane di ipocrisia. In realtà gli stessi candidati “anti-sistema” non sono poi così credibili come vogliono sembrare offrendo facili scorciatoi­e. Ne avremo la prova se vinceranno le elezioni e vorranno fare come Putin o Trump: gli europei potrebbero non essere abbastanza ignoranti.

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Al freddo. Una bambina di Aleppo est

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