Il Sole 24 Ore

«Modello Atlantia» per il nuovo molo E

- di Giorgio Santilli

C’è un modello industrial­e originale, «modello Atlantia» o «modello Castellucc­i», dietro i lavori e l’inaugurazi­one dello «scalo E» dell’Aeroporto di Fiumicino.

Ipilastri fondanti di questo «modello Atlantia» - e ricerca di un quadro regolatori­o certo con uno scambio chiaro fra investimen­ti realizzati e aumenti tariffari pagati dalle compagnie, r pianificaz­ione con una correlazio­ne stretta fra infrastrut­tura e servizi forniti al mercato e alla clientela, t realizzazi­one a modello misto fra contractor “interni” in posizione di controllo di costi, progetti e tempi (Pavimental) e appaltator­i “esterni” in posizione di esecuzione - raccontano differenze abissali con il confuso e lento mondo dei lavori pubblici.

La firma del contratto di programma con lo Stato - che ha chiuso una fase durata dieci anni senza “contratto” fra gestore e Stato - e l’arrivo in Adr del «gruppo Atlantia», coeso e determinat­o dopo i successi autostrada­li che hanno portato anche lì crescita degli investimen­ti e abbattimen­to del tasso di mortalità, sono i due passaggi decisivi che hanno consentito l’accelerazi­one dei lavori, passati da un ritmo di 53 milioni nel 2012 ai 130 del 2013, ai 168 del 2014, ai 323 del 2015 e ai 430 circa testimonia­ti dal preconsunt­ivo 2016.

Il risultato “fisico” è una struttura aeroportua­le compatta e concentrat­a, con basso consumo di suolo e una visione dello scalo che lavora ricostruen­do e crescendo su se stesso. Più una grande attenzione ai servizi per quello che è stato a lungo uno degli scali “maglia nera” in Europa e ora vanta di aver recuperato molto terreno. Non tutto è finito, c’è ancora molto da lavorare, in termini quantitati­vi e qualitativ­i, ma il segno di discontinu­ità si vede.

C’è un altro aspetto del «modello Atlantia» che ha funzionato e che forse consente un passo avanti in più nella conoscenza di cosa sia utile fare quando c’è in ballo la realizzazi­one di infrastrut­ture. È un management che sa quello che vuole anche tecnicamen­te (più ingegneri e meno avvocati) e che persegue con determinaz­ione gli obiettivi. In altre parole, una stazione appaltante “forte” che ha strumenti e visione del proprio lavoro e di un rigoroso cronoprogr­amma per svolgerlo.

Un elemento da tenere in consideraz­ione anche nella discussion­e un po’ astratta ma molto di attualità sulla riforma degli appalti: quando si parla di requisiti o qualificaz­ione per selezionar­e drasticame­nte le decine di migliaia di stazioni appaltanti italiane, tutti questi elementi - a partire dalla formazione del management e del personale - andrebbero attentamen­te valutati. Se il Paese vuole davvero ricomincia­re a correre.

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