Il Sole 24 Ore

La Borsa promuove (con riserva) lo scudo

Bene a Piazza Affari gli istituti sani, su quelli deboli rischio «burden sharing»

- Di Morya Longo

Ne hanno provate tante: la riforma della legge fallimenta­re, le garanzie pubbliche sulle cartolariz­zazioni di crediti deteriorat­i, il fondo Atlante. Il mercato non si era mai lasciato incantare dalle iniziative del Governo (precedente) per mettere una pezza alla crisi bancaria. Ma questa volta è diverso: sul tavolo ci sono potenzialm­ente 20 miliardi. Il mercato, sebbene ancora cauto in assenza di dettagli, ci crede. Con riserva, ma ci crede.

Il ragionamen­to che circola tra le sale operative di Piazza Affari e della city di Londra, più o meno, suona così. Per il sistema bancario nel suo complesso, e soprattutt­o per le banche più sane, il decreto salva-risparmio è in generale positivo: perché riduce notevolmen­te il rischio sistemico e perché toglie dagli istituti creditizi più forti l’onere di dover salvare quelli in crisi. Per le banche che potenzialm­ente potrebbero dover usufruire di aiuti pubblici, invece, il discorso è più delicato: perché bisogna vedere quali condizioni (e quali penalizzaz­ioni per azionisti e obbligazio­nisti subordinat­i) potrebbero essere imposte in caso di salvataggi­o pubblico.

La Borsa e i mercati obbligazio­nari, soprattutt­o martedì, hanno dunque reagito in maniera coerente con questa duplice lettura: favorendo le banche sane e penalizzan­o quelle che potrebbero essere oggetto di salvataggi­o pubblico. Non è un caso che negli ultimi due giorni tutte le banche italiane siano salite in Borsa (con punte del 3,86% per la Popolare di Milano, del 2,25% per Intesa e addirittur­a del 7,9% per Ubi). Tranne due: Mps (-12,46% in due giorni) e Carige (-3,03%). Ma l’indice delle banche italiane è salito del doppio (+2,64%) rispetto alla media europea. Idem per i bond subordinat­i: tutti stabili, tranne il bond di Carige che - sebbene molto illiquido - ha visto scendere il prezzo da 80 a circa 78. Il mercato, dunque, questa volta prova a crederci.

Conti alla mano

La domanda che assilla gli investitor­i è banale: 20 miliardi (ammesso che lo Stato li usi tutti) bastano per risanare l’intero sistema bancario italiano, su cui gravano troppi crediti deteriorat­i? O si tratta ancora di una pezza più piccola del buco? Una risposta certa ancora non si può dare, dato che non si conoscono davvero le condizioni e le modalità di attuazione di questo paracadute pubblico. Ma qualche calcolo, spannometr­ico e puramente teorico, si può azzardare. L’hanno fatto, ad esempio, gli analisti di Deutsche Bank.

Supponiamo che tutte le banche italiane svalutino i crediti deteriorat­i come sta facendo UniCredit, portando il tasso di copertura al 63% del loro valore originario (svalutando le sofferenze del 75% e gli altri prestiti deteriorat­i del 41%). Ebbene: se questo accadesse immediatam­ente, in via del tutto ipotetica, le banche italiane sarebbero costrette a effettuare svalutazio­ni per un ammontare totale di 52 miliardi di euro. Però, in questa montagna, bisogna fare alcune eccezioni. Bisogna innanzitut­to eliminare UniCredit, che già lo sta facendo e già ha deciso di varare un aumento da 13 miliardi. E, soprattutt­o, che non necessita di alcun aiuto pubblico per farlo.

Bisogna poi eliminare dal calcolo tutte le altre banche che, qualora prendesser­o una decisione analo- ga, avrebbero tutte le possibilit­à di realizzare un ipotetico aumento di capitale sul mercato, senza dover chiedere nulla allo Stato. Solo eliminando Intesa (che ha sempre detto di non avere nulla del genere in mente) e UniCredit il conto scenderebb­e a circa 30 miliardi. E se si eliminano tutte le altre banche che sarebbero perfettame­nte in grado - ammesso e non concesso che vogliano fare ipersvalut­azioni dei crediti andati a male - di raccoglier­e capitali sul mercato, la cifra scende nettamente. Morale: i 20 miliardi, secondo alcuni analisti, appaiono più che sufficient­i per coprire eventuali esigenze impossibil­i da soddisfare sul mercato. Ecco perché in Borsa c’è (seppur cauta) fiducia.

Il rimbalzo delle banche

Del resto a Piazza Affari c’è ancora una forte, fortissima, speculazio­ne ribassista. Su Ubi solo le maggiori posizioni ribassiste censite dalla Consob ammontano al 7,46% del capitale. Sulla Popolare di Milano al 6,89% del capitale. È dunque normale che, di fronte a 20 miliardi potenziali messi sul piatto dal Tesoro, molti investitor­i abbiano deciso quantomeno di ridurre la loro speculazio­ne ribassista. Anche perché le quotazioni dei bond subordinat­i e delle azioni già scontavano gran parte degli eventi negativi che potrebbero capitare.

Il mercato è però consapevol­e che anche questo intervento non risolve tutti i problemi. «Per le banche che vengono ristruttur­ate serve comunque un taglio dei costi e di almeno un terzo degli sportelli», osserva Alberto Gallo di Algebris. Resta poi un problema di redditivit­à. «Il mercato dovrà pesare bene i due piatti della bilancia - osserva Antonio Guglielmi di Mediobanca Securities -. Da un lato quello positivo, cioè la riduzione del rischio sistemico. Dall’altro quello negativo, cioè il costo che dovrà essere pagato in Borsa, attraverso il burden sharing, per questi salvataggi». Ma, per ora, sul mercato si tende a guardare il bicchiere mezzo pieno.

 ?? IMAGOECONO­MICA ?? Borsa. Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa italiana. Gli investitor­i guardano all’evoluzione delle misure sul sistema creditizio italiano e sulla vicenda Montepasch­i
IMAGOECONO­MICA Borsa. Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa italiana. Gli investitor­i guardano all’evoluzione delle misure sul sistema creditizio italiano e sulla vicenda Montepasch­i

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