Il fianco scoperto dell’Europa
Non stupisce che l’uomo sospettato di aver portato a termine l’attentato di Berlino sia un giovane tunisino. Sono ormai tre anni che la Tunisia è sotto i riflettori dei media internazionali per essere divenuta uno dei maggiori serbatoi di aspiranti jihadisti diretti a combattere con l’Isis o a seminare il terrore in Europa.
La Tunisia, il Paese arabo conosciuto come il più “laico”, e il solo ad esser uscito dalle rivolte popolari del 2011 con un credibile processo di transizione democratica, vanta anche un triste primato: è il Paese che ha fornito più combattenti all’Isis. Sono infatti più di 4mila i tunisini, perlopiù giovani, ad essere partiti per Siria e Iraq.
Il pericolo che si annida sulla sponda sud del Mediterraneo, a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane, è reale. Perché diversi giovani radicalizzati si trovano in Europa. Poco importa che abbiano combattuto in Siria, oppure siano lupi solitari adescati via internet. I sanguinosi attentati terroristici contro gli stranieri avvenuti prima al museo del Bardo di Tunisi, nel marzo del 2015, e poi sulla spiaggia di Sousse, tre mesi dopo, hanno confermato la deriva salafita che ha investito parte della società tunisina.
Al pari di Francia e Regno Unito, la Germania è uno dei paesi europei più esposti. Le autorità tedesche ritengono che dal 2012 almeno 800 persone, in buona parte di cittadinanza tedesca, siano partiti per Siria e Iraq . Di queste – ed è il dato che più preoccupa – più di 250 sarebbero rientrate in Germania.
Anis Amri, questo sarebbe il nome del 24enne ricercato dalla polizia di tutta Europa, proveniva dal Governatorato di Kairouan, l’antica città tunisina nota per essere una roccaforte del salafismo nordafricano. Il luogo da cui proveniva anche il giovane attentatore di Sousse. E secondo le prime indiscrezioni potrebbe essere legato proprio alla cellula salafita che organizzò l’attacco sulla spiaggia, dove morirono sotto i colpi di khalasnikov 38 persone, la maggior parte turisti europei.
Per quanto non sembra finora che Amri abbia combattuto in Siria, il suo profilo ricalca quello di altri nordafricani radicalizzati in circolazione per l’Europa. È una storia come altre, dove l’emarginazione sociale, i precedenti per criminalità – Amri aveva scontato quattro anni di detenzione in Itala e aveva altri precedenti penali - e la successiva radicalizzazione, che avviene spesso in Europa, sono un filo conduttore comune a tanti lupi solitari o foreign fighters.
Sempre secondo i media tedeschi Amri potrebbe aver fatto parte proprio del gruppo salafita guidato da Abu Alla, un predicatore, ma anche reclutatore per l’Isis, arrestato in novembre dalle autorità tedesche che agivano tra Bassa Sassonia e Nordreno-Vestfalia.
Le indagini ci diranno se lui è davvero l’uomo che ha effettuato l’attentato di lunedì sera, se era un lupo solitario, oppure aveva legami con l’Isis. Resta il fatto che oggi la minaccia terroristica è forse più alta di prima. Indebolita su fronte interno, l’Isis sta cercando di esportare il terrore in Europa. I Paesi europei devono essere quanto mai vigili. Le rispettive intelligence sono chiamate ad una maggiore collaborazione e condivisione delle informazioni.