La destra e i populismi
Il grande storico e accademico di Francia, Réne Rémonde, teorizzò che le destre fossero tre, una tradizionalista, una liberalconservatrice e una fortemente identitaria.
Giuseppe Prezzolini, nel suo saggio Intervista sulla Destra, con ironia affermò che fossero trentatré. Il problema storico del centrodestra, in Italia come altrove, è quello di tenere insieme culture politiche differenti e questo appare ancor più difficile in questa epoca in cui la globalizzazione ridefinisce i connotati delle appartenenze politiche.
La reductio ad unum soprattutto fu facile alla fine del Novecento quando le destre, interpreti del modello liberal capitalistico, seppero interpretare il cambiamento e assumere uno spirito riformista, come fu per Margaret Thatcher e Ronald Reagan. La difficoltà di oggi, invece, è fare i conti con una stagione in cui gli schieramenti a destra appaiono divisi fra due anime: le vecchie destre liberal conservatrici di sistema e nuove destre sovraniste a tratti antisistema.
Il centrodestra ma in generale tutti gli attori della politica, oggi sono chiamati a misurarsi con quel fenomeno prima ancora culturale e poi economico e sociale che è il declino dell’Occidente. Lo teorizzò bene Osvald Spengler nel celebre saggio Il tramonto dell’Occidente, prima ancora lo descrisse Nietzsche nella denuncia del nichilismo politico. Le radici della nostra crisi sociale sono culturali, legate a una perdita di identità forte, di spirito comunitario, di visione e di missione.
C’è una parola “malfamata” che affolla le nostre cronache politiche, è quella di “populismo”, sinonimo di demagogia politica, anche se Dostoevskij nella commemorazione che fece di Puskin nel 1880 nobilita le virtù del populismo, come capacità di ascoltare chi sta sotto, di percepire le istanze che vengono dal basso.
Il populismo si radica certamente nelle paure e nelle incertezze ma trova forza anche nella distanza del potere, nell’impossibilità che il cittadino comune ha di accedervi e nella modalità autoreferenziale in cui le élite si stanno chiudendo. Il dato più evidente è nella fine dell’ascensore sociale che in alcuni casi ripropone nelle nostre società un notabilariato di tipo ottocentesco.
Michael Novak avverte che le società occidentali hanno davanti due sfide: quella economica connessa al mantenimento del benessere e quella sulla tenuta della democrazia interna degli Stati, collegata evidentemente alla prima.
Negli ultimi anni si è palesato il populismo ma si è manifestato anche un certo disprezzo antipopolare, la presunzione di chi sta sopra che chi sta sotto non debba più concorrere ai processi decisionali. E questi due elementi hanno integrato un mostro a due teste, le due facce del nichilismo occidentale. La critica al populismo e ai suoi eccessi resta sacrosanta ma deve, evidentemente, accompagnarsi alla comprensione delle ragioni radicate del disagio e a una vicinanza con chi trova nella marginalità per effetto della globalizzazione. Nell’involucro del populismo c’è di tutto: ci sono certamente una buona dose di demagogia, di anacronistico sciovinismo, di paure e pulsioni ma ci sono anche istanze degli esclusi dai dividendi della globalizzazione.
Il successo dell’operazione Fillon in Francia costituisce un fattore di novità, la capacità di presidiare alcune istanze del lepenismo senza per questo cedere al populismo più becero. La stessa cancelliera Merkel, e le avvisaglie si sono viste già nel
L’ESEMPIO FRANCESE Fillon è stato capace di presidiare alcune istanze del lepenismo senza cedere al populismo più becero
recente congresso che l’ha confermata alla guida della Cdu, ha dovuto fare concessioni all’ala più intransigente del suo partito e ulteriori ne dovrà fare agli alleati bavaresi della Csu. I conservatori britannici che si erano divisi nel referendum su Brexit ora si stanno, a fatica, adattando al deliberato popolare proprio per contenere le spinte populiste.
Il centrodestra italiano, spesso troppo spesso piegato sugli epigoni degli anni Novanta, è chiamato alla stessa sfida, se vuole essere credibile. Avere un’idea di Italia che sfugga al nichilismo del politicamente corretto ma che non ceda alle peggiori pulsioni della demagogia.
La democrazia costituisce il più elevato risultato della storia dell’Occidente, si è giunti a questa verità storica attraverso secoli di lotte per affermare la sovranità popolare quale dimensione centrale del governo. Qualcuno, invece, crede di poter concepire una democrazia “agnostica”, sganciata dalla sovranità popolare che pure è l’essenza stessa dell’idea democratica.
«Il potere pubblico», ribadisce Ortega y Gasset nella Meditazione sull’Europa, non è altro che «l’intervento attivo, energico dell’opinione pubblica. Se non vi fosse opinione pubblica non ci sarebbe potere pubblico e ancor meno Stato».
La pluralità di idee è ricchezza per la libertà di tutti, chi ha pensato che la democrazia dovesse approdare al pensiero unico ha rischiato di vanificarne l’essenza. Avere sempre più di una opzione è il sale della libertà.